“Pnrr? Un’operazione immobiliare. Ci si è dimenticati del personale. Serve subito un nuovo Patto per la Salute”. Intervista al segretario Anaao, Pierino Di Silverio
Sul contratto: "L’aspettativa è quella di sedermi a firmare un contratto già scaduto. È un atto dovuto istituzionale ma non è la soluzione perché con i soldi stanziati si può fare ben poco". Quanto alle liste d'attesa: "Il vero problema è quello di non avere un’organizzazione che ti permetta di avere ‘liste pulite’. Perché invece di far lavorare di più il personale non hanno pensato a far lavorare maggiormente i cosiddetti ambulatori delle cronicità?". L'IA può essere un'opportunità ma non può sostituire la diagnosi medica o il parere del medico
Dopo l'emergenza Covid il personale sembra essere tornato nel dimenticatoio. Il Pnrr? Sembra più un'operazione immobiliare, ci si preoccupa delle strutture ma non di chi dovrà lavorarvi dentro. L'urgenza inderogabile è quella di un nuovo Patto per la Salute.
Ne è convinto il segretario nazionale dell'Anaao Assomed, Pierino Di Silverio, in un'ampia intervista a Quotidiano Sanità nella quale tocca diversi temi: dalla responsabilità penale del medico alle potenzialità e rischi legate all'uso dell'intelligenza artificiale, dalle aspettative per il nuovo contratto alle aggressioni al personale, fino alla riforma della medicina territoriale e alla valorizzazione della formazione specialistica.
La manovra vi ha lasciati insoddisfatti e fin da gennaio sono state avviate le prime mobilitazioni, cosa c'è in programma per i prossimi mesi?
Non solo la finanziaria ma anche le azioni successive non ci hanno soddisfatto. Sembra che, una volta varata la manovra, si sia smesso di porsi il tema riguardante i professionisti sanitari. Il 25 gennaio insieme ad altre sigle sindacali abbiamo dato il via a una mobilitazione con lo scopo di cercare un dialogo con le Istituzioni. La speranza è che queste abbiano la forza, la capacità e la volontà di rispondere alle esigenze dei professionisti sanitari. Vogliamo capire cosa pensano di realizzare, quali sono i loro progetti. Per quanto ci riguarda, la nostra proposta l’abbiamo già avanzata.
E cosa proponete?
La prima cosa da fare è un nuovo Patto per la salute. Dobbiamo sederci a un tavolo e decidere come riorganizzare interamente il percorso di presa in carico dei pazienti. Non si può pensare di andare avanti solo con interventi spot o interventi tampone su alcune problematiche, in questo modo non si fa che esacerbare quella confusione legislativa e burocratica nella quale viviamo. Questo primo passo, dal nostro punto di vista, è urgente e necessario. In secondo luogo, si deve tornare a pensare al professionista. L’impressione è che il Covid abbia fatto scoppiare una bolla infrastrutturale. Da allora ci si è concentrati molto di più sulle strutture che sui professionisti che vi operano, questo sia a livello europeo che nazionale. L’impressione è che il Pnrr si stia sempre più rivelando una grande operazione immobiliare.
In che senso?
Continuiamo a creare nuove strutture che restano vuote mentre al professionista non pensa più nessuno. Il Piano per le assunzioni straordinarie è stato rimandato, attendiamo ancora che si metta mano all’abolizione del tetto di spesa ad oggi esistente solo sulla carta, c’è un atto medico ancora da definire, c’è il tema task shifting, per non parlare delle condizioni lavorative che oggi non posso che definire pietose con una crescente fuga di professionisti sia verso l’estero che verso il privato. E ancora, c’è una riduzione dell’appetibilità per diverse scuole di specializzazione, così come una medicina dell’emergenza-urgenza che ha un immediato bisogno di essere ristrutturata. L’operazione della creazione di una specializzazione di Pronto Soccorso è stata fallimentare. E non si capisce cosa si vuole fare a fronte di carenze infrastrutturali, di personale ma anche organizzative in termini di percorsi di cura.
Sul personale siamo in attesa di risposte e di capire quali siano le strategie. Ad oggi noi non lo abbiamo ancora capito. Avevamo chiesto finanziamenti adeguati e invece sono stati stanziati 50 milioni per il 2025 e 327 milioni nel prossimo, sempre se ci saranno, collegati ad un contratto che è ancora molto lontano da venire.
A questo proposito, è arrivata la fumata nera per il comparto sanità. Che aspettative avete?
L’aspettativa è quella di sedermi a firmare un contratto già scaduto. È un atto dovuto istituzionale ma non è la soluzione perché con i soldi stanziati si può fare ben poco. E nonostante questo continuiamo a erogare due milioni di prestazioni gratuite al giorno, con i noti problemi di carenza di personale, burnout e aggressioni. E il rapporto medico-paziente inevitabilmente così si incrina.
Possiamo fare un tagliando delle misure messe in campo in questi due anni per contrastare il problema delle liste d’attesa?
Sul tema delle liste d’attesa la situazione non è migliorata, semplicemente perché non poteva migliorare con le soluzioni messe in campo. Tutta la parte economica del decreto varato la scorsa estate è stata posticipata. Il testo contiene anche buone norme, alcune delle quali in realtà già esistenti. Bene la riorganizzazione dei Cup, ma ci sono dei problemi concreti da affrontare. Se il livello tecnologico delle aziende è sotto zero, se ho sistemi che all’interno della stessa Regione non comunicano tra le diverse aziende sanitarie, tutto questo come si può conciliare con il nuovo modello organizzativo proposto? Il core dell’impianto ruotava attorno all’idea di far lavorare di più i professionisti. Sarei curioso di sapere se hanno trovato questi professionisti con tempo libero da dedicare alle prestazioni aggiuntive, e se questo ha permesso di ridurre le liste d’attesa. Il problema è che se aumenti l’offerta aumenta anche la domanda.
E allora cosa fare?
Si deve governare l’offerta rispetto alla domanda, organizzarla, ridurre gli sprechi, ridurre le prestazioni improprie. Le liste d’attesa non sono un problema quanto piuttosto l’effetto di un problema a monte.
Quale sarebbe il principale problema?
Il vero problema è quello di non avere un’organizzazione che consenta ‘liste pulite’. Perché invece di far lavorare di più il personale non hanno pensato a far lavorare maggiormente i cosiddetti ambulatori delle cronicità? Molti di quelli che troviamo nelle liste d’attesa sono pazienti multipatologici spesso presenti in più liste per più prestazioni. Ecco allora l’utilità di raggrupparle, potenziare gli ambulatori delle cronicità e sfruttare maggiormente la medicina del territorio con specialisti ambulatoriali dotandoli dei ruoli e degli strumenti necessari. In questo modo sì che riusciremmo a ridurre le liste di attesa.
Passando al tema della responsabilità professionale, la commissione presieduta da Adelchi d’Ippolito ha concluso il suo lavoro, cosa vi aspettate ora?
I lavori della Commissione si sono conclusi con un nulla di fatto. Intanto con il Milleproroghe è stato prorogato lo scudo già esistente, meglio di nulla. Il problema è che si confonde in maniera ideologica l’immunità con la depenalizzazione. Ma quello che noi chiediamo, per essere precisi, è la non imputabilità, e cioè di non essere imputati in assenza di dolo.
Si spieghi meglio.
Quando un paziente pensa di aver subito errore dovrebbe passare attraverso commissione che dovrebbe avere il compito di esaminare gli aspetti civili e penali del presunto errore denunciato. Il nostro problema non è la depenalizzazione, visto che il 97% delle cause finisce in un nulla di fatto, ma è tutto quello avviene prima del giudizio. Io non devo arrivare ad essere imputato se non c’è dolo, e a questo si può arrivare soltanto mettendo dei filtri. Questo tema va però a toccare interessi lobbistici. Finisce così che si evita di intervenire nonostante la medicina difensiva costi allo Stato ben 11 miliardi l’anno.
La Legge Gelli non ha aiutato a risolvere il problema?
La Gelli-Bianco ha aiutato molto ma sotto il profilo civile, non ha invece risolto i problemi in ambito penale. C’è poi da dire che solo di recente hanno visto la luce gli ultimi decreti attuativi, il pieno funzionamento di quella legge si avrà solo adesso, a quasi 8 anni di distanza dalla sua approvazione.
C’è la volontà politica di risolvere questo problema a suo avviso?
Da parte del ministero della Salute sì, non sembra altrettanto dal lato del ministero della Giustizia.
La normativa per il contrasto al fenomeno delle aggressioni al personale sanitario sta funzionando?
Si è fatto molto sulla deterrenza, da quel punto di vista ci sono stati grandi sforzi, ma il problema resta dal momento che il motivo principale che causa questi fenomeni sono le difficoltà nell’accesso alle cure. Senza risolvere questo non si risolve il fenomeno. Ben venga l’inasprimento delle pene, ma non può essere questa l’unica via da seguire.
Quanto alla tanto discussa riforma della medicina del territorio, cosa ne pensa del possibile passaggio alla dipendenza?
Penso sia un dibattito sterile. La metodologia comunicativa conta tanto. Qualunque riforma si pensi di voler fare è impensabile presentarle in questa maniera, per mezzo di una fuga di notizia con bozze ‘fantasma’. Le riforme vanno preparate, discusse, valutate e condivise con tutti gli stakeholders. Per quanto riguarda la medicina del territorio a noi interessa il funzionamento del sistema più che il passaggio o meno alla dipendenza. La cosa che potrebbe essere utile a tutti sarebbe quella di dotare i medici di medicina generale di presidi diagnostici di primo livello e di metterli nelle condizioni di poter fare diagnosi e terapie di primo livello. Questo sì che darebbe una grande mano al sistema.
Intelligenza artificiale in sanità, un rischio o una grande opportunità per medico e paziente?
Può essere un grande compendio ma non posso pensare si vada avanti senza governarla. Un sistema di big data o probabilistico non può sostituire la diagnosi medica o il parere del medico.
Siamo già arrivati a questo punto?
Ci potremmo arrivare a breve. La cosa più importante è far presente che senza la firma del medico non può esistere atto medico. E qui si apre un grande tema: chi è responsabile dell’attendibilità dei dati e dei possibili bias dei sistemi di intelligenza artificiale? Fin dove arriva la mia responsabilità di medico? Lo stesso tema si deve porre riguardo il task shifting. Ben venga il maggiore spazio alla professionalità degli infermieri purché questo venga accompagnato da tutte le responsabilità che ne conseguono.
Un ultimo passaggio sulla situazione riguardante la formazione specialistica.
Abbiamo la necessità di fare fabbisogni concreti e liberalizzare la formazione specialistica. Lo specializzando ha diritto ad avere un contratto di lavoro, una formazione di qualità, una formazione integrata come avviene in tutto il mondo. Dobbiamo fare in modo che i nostri specializzandi di area medica e sanitaria abbiano uno stipendio decoroso oltre a dei diritti e doveri precisi. Dobbiamo smetterla di ragionare per monopoli lobbistici o non cambieremo mai il sistema, anche a danno dei pazienti.
L'intervista su Quotidianosanità.it