Rassegna di giurisprudenza
09/03/2018

Sentenze: le novità 5 al 9 marzo 2018

Questa settimana: - Accuratezza visita pratica sportiva; - Significato di “terna di idonei”; - Mobbing: intento discriminatorio va provato; - Parto anonimo e diritto del figlio - Danno morale e danno biologico - Responsabilità: difettosa tenuta cartella clinica

Tribunale di Reggio Emilia – Sentenza n. 40/2018: La visita finalizzata alla pratica sportiva va resa in maniera accurata a prescindere dalla specializzazione del sanitario. Il paziente che richieda certificato di idoneità alla pratica sportiva (ciclismo) ha titolo per pretendere la messa a disposizione, da parte della clinica, delle professionalità e degli strumenti necessari a rendere un approfondimento completo sulla propria idoneità a praticare il ciclismo o per lo meno a essere messo in guardia circa la valenza superficiale degli esami a cui è in procinto di essere sottoposto. Il cittadino che si rivolga a una struttura sanitaria per una prestazione medica di questo tipo è autorizzato a confidare nella presenza all’interno di quella di un patrimonio di conoscenze e di mezzi adeguato a verificare se il proprio stato di salute consenta la pratica sportiva indipendentemente dall’inquadramento del professionista interessato.

Tar Campania – V Sezione - Sentenza n. 113/2018: Incarico di direzione di struttura complessa e valutazione di idoneità, significato della espressione “terna” di idonei. Non deve trarre in inganno l'espressione di "terna" degli idonei, e il riferimento a punteggi, poiché la maggiore o minore idoneità a ricoprire l'incarico, da parte di un candidato, espressa dalla Commissione sulla base di un punteggio assegnato all'esito del colloquio idoneativo, è concetto ben diverso dalla verifica delle sue conoscenze o competenze professionali attraverso lo svolgimento di temi, prove pratiche o teoriche, domande su materie d'esame e via dicendo, in confronto con gli altri candidati, per saggiarne, appunto, preparazione e professionalità al fine di premiare i migliori. Quello idoneativo è infatti un giudizio, espresso dall'Azienda Ospedaliera per il tramite della Commissione in termini numerici, sulla potenziale capacità del candidato, più o meno spiccata, a rivestire l'incarico dirigenziale e non certo il prodotto di una ponderazione valutativa, relativa al suo bagaglio di conoscenze teoriche, all'esito di una vera e propria procedura selettiva articolata in specifiche prove e vertente su singole materie.

Corte di Appello di Roma – Sezione Lavoro - Sentenza del 24 gennaio 2018: Si intende per "mobbing" "una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio. L’intento discriminatorio va adeguatamente provato in giudizio

Cassazione Civile – Sezione VI – ordinanza n. 3004 del 7 febbraio 2018 : Nel caso di parto anonimo, sussiste il diritto del figlio, dopo la morte della madre, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’identità personale della stessa, non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine previsto dall’art. 93, comma secondo del d.lgs. n. 196 del 2003, di cento anni dalla formazione del documento per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata.Una diversa soluzione determinerebbe la cristallizzazione di tale scelta anche dopo la sua morte e la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio, in evidente contrasto con la necessaria reversibilità del segreto (Corte Cost. n. 278 del 2013), nonché l’affievolimento, se non la scomparsa, di quelle ragioni di protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre, proprio in ragione della revocabilità di tale scelta.

Cassazione Civile – Sezione III – sentenza n. 901/2018: La Suprema Corte ha esaminato il concetto di danno non patrimoniale, rilevando che esso presenta una natura unitaria ed onnicomprensiva, laddove il carattere "unitario" va inteso come unitarietà rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante, non suscettibile di valutazione economica. Ciò comporta che non vi sia diversità nell'accertamento e nella liquidazione del danno causato dal vulnus di un diritto costituzionalmente protetto diverso da quello alla salute, sia esso rappresentato dalla lesione della reputazione, della libertà religiosa o sessuale, della riservatezza, del rapporto parentale. Nel caso di pregiudizio agli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto che lamenta un danno alla salute (art. 32 Cost.), occorrerà far riferimento al danno cd. biologico, mentre il cosiddetto danno "relazionale" va riferito a tutti i casi di lesione di altri diritti costituzionalmente tutelati. In particolare, il danno dinamico-relazionale, è la conseguenza omogenea di qualsiasi lesione di un diritto a copertura costituzionale, sia esso il diritto alla salute, sia altro diritto, interesse o valore, tutelato dalla Costituzione.

Tribunale di Roma - Sezione XIII – sentenza dell’1 febbraio 2018. La difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente al quale, al contrario, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell'accertamento dell'eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente.

 

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