Rassegna di giurisprudenza
18/06/2015

Sentenze:le novità dal 15 al 20 giugno

Questa settimana: responsabilità medica e onere della prova, mobbing, danno patrimoniale, specializzandi non medici, Irap.

Il Tribunale di Roma - (sentenza del 30 aprile 2015) torna a pronunciarsi in tema di responsabilità professionale del medico, in particolare sul concetto di onere della prova. Per chiedere il risarcimento di un danno per presunta colpa del medico, non è sufficiente per il paziente o per il suo familiare affermare che esiste una responsabilità generica in capo ai sanitari e che il risultato ottenuto non è adeguato alle loro attese, ma occorre mettere il giudice in grado di trovare l'inadempimento causa di danno; in caso contrario si aprirebbe "un varco sempre più grande all'ingresso di azioni giudiziarie infondate o di natura esplorativa". Con la sentenza depositata il 30 aprile scorso, il Tribunale di Roma affida al medico e/o sanitario l'onere di provare il proprio adempimento e/o la propria estraneità ai danni causati. Nella fattispecie specifica i giudici hanno rigettando la richiesta di condanna a risarcimento da parte dei parenti di un paziente defunto per bronco pneumopatia aggravata da infezioni contratte durante la degenza e hanno prosciolto una struttura convenuta disponendo una consulenza d'ufficio verso un'altra.  Secondo il tribunale di Roma, infatti “al paziente spetta solo di provare l'esistenza di un contratto con la struttura e di un danno nei suoi confronti ma, affinché l'assunto giurisprudenziale funzioni, oltre a dimostrare che non si è guariti o ci si è aggravati, si deve specificare e provare la responsabilità del medico e della struttura con il danno o il mancato risultato patito; e il giudice deve verificare se, cambiando il medico ed il sanitario, il danno non si sarebbe prodotto”.

La Cassazione Civile - Sezione Lavoro – (Sentenza n. 10037), è stata chiamata a decidere sul mobbing. Per configurare il mobbing afferma la Cassazione, rilevante è la dimostrazione dell’umiliazione del lavoratore attraverso dei comportamenti concludenti. La sottrazione delle mansioni, la conseguente emarginazione, lo spostamento senza plausibili ragioni da un ufficio all'altro, l'umiliazione di essere subordinati alla persona che prima era un proprio sottoposto, l'assegnazione ad un ufficio aperto al pubblico senza possibilità di poter lavorare, rende ancora più rilevante la complessiva umiliazione significativa sul piano ricostruttivo del comportamento mobbizzante posto in essere sui luoghi di lavoro.

La Corte di Cassazione – III Sezione Civile – (Sentenza n. 10263), ha ribadito che il ricorso alle “Tabelle” per la quantificazione del danno è da ritenersi un valido criterio di valutazione equitativa. Tale sistema, tra l’altro, costituisce solo una modalità di calcolo tra le molteplici utilizzabili. In particolare le Tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo una "vocazione nazionale", in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell'equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) - al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali - ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell'art. 3 della Costituzione. Si è quindi al riguardo ulteriormente precisato che i parametri delle Tabelle di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale.

Il Tribunale di Roma – II Sezione Civile  – (Sentenza del 2 aprile 2015), torna a pronunciarsi sugli “specializzandi non medici” esclusi dal diritto alla remunerazione concludendo che è inesistente un obbligo dello Stato italiano di prevedere per legge il diritto alla retribuzione degli specializzandi di area sanitaria non medica. Peraltro, poiché l’ordinamento nazionale ha stabilito una retribuzione in favore dei medici in «conseguenza di un vincolo di fonte europea», è quindi inesistente - aggiunge il Tribunale - «una disparità di trattamento non giustificata» tra le due categorie di specializzandi. Né le Università convenute sono tenute a un indennizzo in base all’articolo 2041 del Codice civile (intitolato «Azione generale di arricchimento»)

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – (Sentenza n. 12287), ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale consolidato in base al quale grava il pagamento dell’Irap in capo al professionista che per prestazioni afferenti l’esercizio della propria attività eroghi elevati compensi a terzi, a nulla rilevando il mancato impiego da parte del contribuente di personale dipendente. Infatti secondo la Corte il requisito dell'autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente: impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

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