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10/10/2022

Ferie non godute per maternità

Corte Suprema di Cassazione – Sezione lavoro – Ordinanza n. 19330 del 15 giugno 2022

Commento a cura di Raffaella Biasin, Direttivo Nazionale Dirigenza Sanitaria Anaao Assomed

Una dipendente pubblica ha richiesto all’Asl di sua appartenenza il pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute delle quali non ha potuto fruire perché in congedo obbligatorio per maternità sino alla risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni.

L’Asl ha respinto tale richiesta e la predetta si è quindi rivolta al Tribunale che ha accolto la sua istanza.

L’Asl si è appellata alla competente Corte territoriale che, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale, ha rigettato la domanda della predetta dipendente, osservando che tale reiezione trova fondamento nell’applicazione dell’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012, convertito in legge n. 135 del 2012, norma che impedisce la monetizzazione delle ferie non godute.

L’interessata ha proposto ricorso per cassazione, ritenendo che la Corte d’Appello erroneamente ha negato la monetizzazione delle ferie non godute.

La Suprema Corte di Cassazione, al riguardo, ha evidenziato che le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale delle amministrazioni pubbliche devono obbligatoriamente essere fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. Il legislatore, con la norma sopraindicata, ha correlato il divieto di monetizzazione a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che sempre consentono di pianificare per tempo la fruizione del periodo di riposo e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore e quelle del prestatore. Lo scopo della normativa è infatti quello di reprimere il ricorso incontrollato alla “monetizzazione” del periodo di ferie non goduto, contrastandone gli abusi, e di riaffermare la preminenza del godimento effettivo delle stesse, nell’alveo di una razionale programmazione, con lo scopo di favorire comportamenti virtuosi delle parti nel rapporto, ma senza arrecare alcun pregiudizio al lavoratore incolpevole.

La Suprema Corte ha osservato quindi che sono escluse dall’ambito applicativo del divieto le vicende estintive del rapporto di lavoro che non dipendono dalla volontà del lavoratore e tutta la giurisprudenza di legittimità riconosce sempre al lavoratore il diritto ad un’indennità per le ferie non godute quando il mancato godimento dipende da causa a lui non imputabile.

Ciò premesso, nella fattispecie, ad avviso della Suprema Corte di cassazione, va valorizzata, in relazione al periodo precedente le dimissioni, l’impossibilità per il datore di concedere le ferie, ma soprattutto per la lavoratrice di fruirne, essendo in astensione obbligatoria per maternità. Questo rilievo deve avere la priorità, sia sul piano del bilanciamento degli interessi che su quello cronologico, rispetto alla scelta della lavoratrice di dimettersi. L’interessata, in estrema sintesi, non avrebbe in alcun modo potuto fruire delle ferie nel periodo di astensione obbligatoria e ciò rende neutra la circostanza che ella abbia poi scelto di dimettersi – come era suo diritto – per dar corso ad una nuova esperienza lavorativa.

Considerato che l’impossibilità di fruizione delle ferie è stata determinata dal versare la lavoratrice nella situazione che (pre e post parto) impone l’astensione obbligatoria dal lavoro la Suprema Corte ha sancito che alla stessa va pertanto riconosciuto il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie.

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