Giurisprudenza: la rassegna della settimana dal 26 al 30 maggio

Questa settimana: PMA: incostituzionale il divieto per le coppie donne omosessuali di riconoscere entrambe come proprio il figlio nato in Italia da tecniche praticate legittimamente all’estero; suicidio medicalmente assistito: il requisito del trattamento di sostegno vitale non è in contrasto con la costituzione; illegittimo il cambio di mansioni per incompatibilità ambientale, indennità di accompagnamento e accertamento della situazione di handicap grave, l’intervento va interamente descritto nella cartella clinica

 

26 Maggio 2025

Giurisprudenza: PMA: incostituzionale il divieto per le coppie donne omosessuali di riconoscere entrambe come proprio il figlio nato in Italia da tecniche praticate legittimamente all’estero; suicidio medicalmente assistito: il requisito del trattamento di sostegno vitale non è in contrasto con la costituzione; illegittimo il cambio di mansioni per incompatibilità ambientale, indennità di accompagnamento e accertamento della situazione di handicap grave, l’intervento va interamente descritto nella cartella clinica

Corte Costituzionale – Sentenza n. 68 del 22 maggio 2025. - È incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita (PMA) legittimamente praticata all’estero. ll comunicato stampa della CorteL’articolo 8 della legge numero 40 del 2004 è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale. È quanto ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza numero 68, depositata oggi, che ha ritenuto fondate le relative questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Lucca. La Corte – dopo aver precisato che la questione non attiene alle condizioni che legittimano l’accesso alla PMA in Italia – ha ritenuto che l’attuale impedimento al nato in Italia di ottenere fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa all’estero insieme alla madre biologica non garantisca il miglior interesse del minore e costituisca violazione: dell’articolo 2 della Costituzione, per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; dell’articolo 3 della Costituzione, per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse di rango costituzionale; dell’articolo 30 della Costituzione, perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli. La dichiarazione di illegittimità costituzionale si fonda su due rilievi: la responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decide di ricorrere alla PMA per generare un figlio, impegno dal quale, una volta assunto, nessuno dei due genitori, e in particolare la cosiddetta madre intenzionale, può sottrarsi; la centralità dell’interesse del minore a che l’insieme dei diritti che egli vanta nei confronti dei genitori valga, oltre che nei confronti della madre biologica, nei confronti della madre intenzionale. Dalla considerazione di questi fondamenti discende che il mancato riconoscimento fin dalla nascita dello stato di figlio di entrambi i genitori lede il diritto all’identità personale del minore e pregiudica sia l’effettività del suo «diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni» sia il suo «diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale».”.

Corte Costituzionale – Sentenza n. 66/2025. Suicidio medicalmente assistito: la corte conferma che il requisito del trattamento di sostegno vitale non è in contrasto con la costituzione e rinnova i propri appelli al legislatore. Il Comunicato della Corte. “Non è costituzionalmente illegittimo subordinare la non punibilità dell’aiuto al suicidio al requisito che il paziente necessiti, secondo la valutazione medica, di un trattamento di sostegno vitale. È quanto ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza numero 66, depositata oggi, in cui sono state ritenute non fondate varie questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale, sollevate dal GIP di Milano, al quale il pubblico ministero aveva chiesto di archiviare due procedimenti penali per aiuto al suicidio. La Corte ha rammentato quanto già precisato nella sentenza numero 135 del 2024, pubblicata successivamente all’ordinanza di rimessione: il requisito che il paziente dipenda da un trattamento di sostegno vitale è integrato già quando vi sia l’indicazione medica della necessità di un tale trattamento allo scopo di assicurare l’espletamento delle sue funzioni vitali, in particolare ogniqualvolta si debba ritenere che l’omissione o l’interruzione di tale trattamento determinerebbe prevedibilmente la sua morte in un breve lasso di tempo, e sussistano tutti gli altri requisiti sostanziali e procedurali indicati dalla sentenza numero 242 del 2019. Non è dunque necessario che il paziente sia tenuto a iniziare il trattamento al solo scopo di poter poi essere aiutato a morire. In assenza di una simile condizione, la Corte – reiterando considerazioni già svolte nella sentenza numero 135 del 2024 – ha ritenuto che non è discriminatorio limitare a questi pazienti la possibilità di accedere al suicidio assistito, e che tale limitazione non viola il diritto all’autodeterminazione del paziente. Pur non essendo, in ipotesi, precluso al legislatore compiere scelte diverse, laddove appresti le necessarie garanzie contro i rischi di abuso e di abbandono del malato, al legislatore stesso deve infatti riconoscersi un «significativo margine di discrezionalità […] nel bilanciamento tra il dovere di tutela della vita umana, discendente dall’art. 2 Cost., e il principio dell’autonomia del paziente nelle decisioni che coinvolgono il proprio corpo, e che è a sua volta un aspetto del più generale diritto al libero sviluppo della propria persona». La Corte ha poi sottolineato il carattere essenziale che rivestono i requisiti e le condizioni procedurali per la non punibilità dell’aiuto al suicidio cui ha fatto riferimento la giurisprudenza costituzionale, in quanto funzionali sia a prevenire il pericolo di abusi a danno delle persone deboli e vulnerabili, sia a «contrastare derive sociali o culturali che inducano le persone malate a scelte suicide, quando invece ben potrebbero trovare ragioni per continuare a vivere, ove fossero adeguatamente sostenute dalle rispettive reti familiari e sociali, oltre che dalle istituzioni pubbliche nel loro complesso». La Corte ha rammentato che costituisce preciso dovere della Repubblica garantire «adeguate forme di sostegno sociale, di assistenza sanitaria e sociosanitaria domiciliare continuativa, perché la presenza o meno di queste forme di assistenza condiziona le scelte della persona malata e può costituire lo spartiacque tra la scelta di vita e la richiesta di morte». In proposito, ha osservato con preoccupazione che ancor oggi, nel nostro Paese, non è garantito un accesso universale ed equo alle cure palliative nei vari contesti sanitari, sia domiciliari che ospedalieri; vi sono spesso lunghe liste di attesa; si sconta una mancanza di personale adeguatamente formato e una distribuzione territoriale dell’offerta troppo divaricata; e la stessa effettiva presa in carico da parte del servizio sociosanitario, per queste persone, è a volte insufficiente. Infine, la sentenza ha «ribadito con forza l’auspicio […] che il legislatore e il Servizio sanitario nazionale intervengano prontamente ad assicurare concreta e puntuale attuazione a quanto stabilito dalla sentenza n. 242 del 2019, ferma restando la possibilità per il legislatore di dettare una diversa disciplina nel rispetto delle esigenze richiamate ancora una volta dalla presente pronuncia

Corte d'Appello L'Aquila - Sez. Lavoro – sentenza 18/2025 Cambio di mansioni per incompatibilità ambientale: illegittimità. Il pubblico dipendente (ex art. 54-bis d.lgs. n. 165 del 2001) che denuncia all'autorità giudiziaria, alla Corte dei Conti, o al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o trasferito per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia. Uno spostamento del lavoratore, motivato dalla tensione e sfiducia generata tra i colleghi a seguito della sua denuncia, deve valutarsi come discriminatorio e pertanto nullo.

Corte d'Appello L'Aquila - sez. lavoro – sentenza 76/2025 Indennità di accompagnamento e accertamento della situazione di handicap grave. Ai fini del riconoscimento dello status di portatore di handicap grave non è necessaria una condizione di invalidità o incapacità analoga a quella necessaria per la concessione dell'indennità di accompagnamento, ma è sufficiente che le menomazioni da cui l'invalido è affetto abbiano causato difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e processi di svantaggio sociale, da accertarsi mediante un apprezzamento globale della sua persona, di entità tale da ridurne l'autonomia personale e rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale.

Cassazione Penale - Sez. V - sentenza n. 17647/2025 L'intervento va interamente descritto nella cartella clinica. Le attestazioni rese dal pubblico ufficiale mediante annotazione su cartella clinica debbono rispondere ai criteri di veridicità del contenuto rappresentativo, nonché di completezza delle informazioni, di immediatezza della redazione rispetto all'atto medico descritto e di continuità delle annotazioni, in quanto finalizzate ad asseverare, con fede privilegiata, non solo la verbalizzazione dell'atto medico, ma anche la successione cronologica degli interventi, delle diagnosi, della prognosi e delle prescrizioni.