Rassegna di giurisprudenza
04/08/2025

La rassegna delle sentenze in sanità dal 1 all'8 agosto.

Responsive image Questa settimana: È Illegittimo il tetto fisso di 240mila euro per i dipendenti pubblici, torna il riferimento allo stipendio del primo Presidente di Cassazione; fine vita: le questioni sul possibile intervento attivo del terzo sono inammissibili per difetto di motivazione circa la reperibilità dei dispositivi di autosomministrazione; ricorso contro il taglio alla rivalutazione delle pensioni; il danno da lesione del rapporto parentale può prescindere dal vincolo di sangue; se il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio; la corretta richiesta di risarcimento per lesione del diritto all'autodeterminazione; monetizzazione dei buoni pasto: sì alla richiesta risarcitoria per equivalente; rimborsi spesa chilometrici per attività di continuità assistenziale

Corte Costituzionale – Sentenza 135/2025. Pubblico impiego: il tetto retributivo torna a essere parametrato in generale al trattamento del primo presidente della corte di cassazione

Il comunicato della Corte

“La Corte costituzionale, con la sentenza n. 135 del 2025, pur ribadendo che la previsione di un “tetto retributivo” per i pubblici dipendenti non contrasta di per sé con la Costituzione, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 13, comma 1, del decreto[1]legge n. 66 del 2014, come convertito, che l’ha fissato nel limite di 240.000,00 euro lordi anziché nel trattamento economico onnicomprensivo spettante al primo presidente della Corte di cassazione. È in base a tale parametro, come fino al 2014, che il “tetto” dovrà essere definito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti. Il limite massimo retributivo era stato introdotto con il decreto-legge n. 201 del 2011, come convertito, per tutti coloro che ricevono emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche, mediante rinvio allo stipendio del primo presidente della Corte di cassazione. Con il decreto-legge n. 66 del 2014 il “tetto retributivo” è stato invece determinato nel suo ammontare in misura fissa, con una significativa decurtazione del trattamento economico di alcuni magistrati. Per i primi anni in cui la norma ha trovato applicazione essa è stata ritenuta non costituzionalmente illegittima poiché considerata una misura straordinaria e temporanea, giustificata dalla situazione di eccezionale crisi finanziaria in cui versava il Paese. Con il trascorrere del tempo, tuttavia, essa ha definitivamente perso quel requisito di temporaneità, posto a tutela della indipendenza della magistratura e necessario ai fini della sua compatibilità costituzionale. L’odierna pronuncia si pone in linea con i principi ai quali si ispirano plurimi ordinamenti costituzionali di altri Stati. Nello stesso senso, del resto, si è espressa la Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 25 febbraio 2025 (grande sezione, cause C-146/23 e C-374/23), nella quale è stata analogamente censurata la riduzione del trattamento retributivo dei magistrati. La Corte costituzionale ha inoltre ritenuto che l’incostituzionalità della citata norma, in ragione del carattere generale del “tetto retributivo”, non possa che operare in riferimento a tutti i pubblici dipendenti. Trattandosi di una incostituzionalità sopravvenuta, la declaratoria di illegittimità non è retroattiva e produrrà i suoi effetti solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.”

Corte Costituzionale – Sentenza 132/2025. Fine vita: le questioni sul possibile intervento attivo del terzo sono inammissibili per difetto di motivazione circa la reperibilità dei dispositivi di autosomministrazione

Il comunicato della Corte

"Con la sentenza n. 132, depositata oggi, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 579 del codice penale sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione. Il giudizio a quo è stato instaurato da una persona affetta da sclerosi multipla, la quale, trovandosi nelle condizioni indicate dalla sentenza numero 242 del 2019 per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, come verificate dall’azienda sanitaria territorialmente competente, versa tuttavia nell’impossibilità di procedere all’autosomministrazione del farmaco letale, in quanto priva dell’uso degli arti, a causa della progressione della malattia, e non essendo reperibile sul mercato la strumentazione necessaria all’attuazione autonoma del suicidio assistito, cioè una pompa infusionale attivabile con comando vocale ovvero tramite la bocca o gli occhi, uniche modalità consentite dallo stato attuale di progressione della malattia. Chiamato a pronunciarsi sul ricorso per provvedimento d’urgenza tramite il quale la persona medesima ha chiesto accertarsi che il proprio diritto di autodeterminazione in materia di fine vita includa la possibilità di scegliere la somministrazione del farmaco da parte di terzi, il Tribunale di Firenze ha censurato l’articolo 579 del codice penale, che punisce il reato di omicidio del consenziente, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, sussistenti le condizioni di accesso al suicidio medicalmente assistito, attui materialmente la volontà del malato il quale, per impossibilità fisica e per assenza di strumentazione idonea, non possa procedervi in autonomia. Secondo il rimettente, la punibilità della condotta del terzo impedirebbe al malato di attuare la propria scelta di fine vita per il dato meramente accidentale dell’incidenza della patologia sull’uso degli arti, venendosi in tal modo a determinare un’irragionevole disparità di trattamento rispetto ai pazienti che tale uso abbiano conservato e producendosi altresì una lesione del diritto del malato all’autodeterminazione. Le questioni sono state dichiarate inammissibili perché «il giudice a quo non ha motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, in merito alla reperibilità di un dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti». La Corte ha rilevato che l’ordinanza di rimessione si è espressa sul punto con esclusivo richiamo all’interlocuzione intercorsa con l’azienda sanitaria locale, essendosi il giudice a quo arrestato a una «presa d’atto delle semplici ricerche di mercato di una struttura operativa del Servizio sanitario regionale», mentre avrebbe dovuto coinvolgere «organismi specializzati operanti, col necessario grado di autorevolezza, a livello centrale, come, quanto meno, l’Istituto superiore di sanità, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale». La sentenza precisa che ove tali dispositivi potessero essere reperiti in tempi ragionevolmente correlati allo stato di sofferenza della paziente, questa «avrebbe diritto ad avvalersene». La Corte afferma, infine, che la persona rispetto alla quale siano state verificate le condizioni di accesso all’opzione di fine vita «ha una situazione soggettiva tutelata, quale consequenziale proiezione della sua libertà di autodeterminazione, e segnatamente ha diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego». A tanto il Servizio sanitario nazionale è tenuto – sottolinea la sentenza – «nell’esplicazione di un doveroso ruolo di garanzia che è, innanzitutto, presidio delle persone più fragili».

Tribunale Trento - Sez. lavoro - ordinanza 145/2025 Ricorso contro il taglio alla rivalutazione delle pensioni. A sollevare la questione è il Tribunale di Trento, che con un’ordinanza datata 30 giugno ha rinviato alla Corte Costituzionale la valutazione sulla legittimità del sistema di perequazione introdotto con le leggi di bilancio del 2023 e del 2024.

Corte d'Appello Ancona - Sez. I - sentenza n. 645/2025 Il danno da lesione del rapporto parentale può prescindere dal vincolo di sangue . La lesione del rapporto parentale determinata dalla morte del congiunto provoca uno sconvolgimento nella vita del superstite che ben può sussistere anche laddove un vero e proprio rapporto di parentela difetti: di conseguenza va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno anche al convivente "more uxorio" del defunto, quando risulta provata una relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale.

Cassazione Civile - Sez. III - ordinanza n. 17881/2025 Resta esclusa la risarcibilità iure hereditatis della perdita della vita. In caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio.

Cassazione Civile - Sez. III - ordinanza n. 15079/2025 La corretta richiesta di risarcimento per lesione del diritto all'autodeterminazione. Il turbamento e sofferenza per non avere potuto liberamente decidere, genericamente allegati, non costituiscono le conseguenze pregiudizievoli in concreto derivate dalla lesione del diritto all'autodeterminazione, ma coincidono con la stessa lesione del diritto e non può darsi il risarcimento del danno in re ipsa. Per assolvere all'onere allegatorio, infatti, il danneggiato deve allegare quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, egli abbia concretamente subito.

Cassazione Sez. Lavoro - ordinanza n. 20621/2025 Monetizzazione dei buoni pasto: sì alla richiesta risarcitoria per equivalente. Una volta accertato il diritto alla fruizione del buono pasto e l'inadempimento del datore di lavoro, il lavoratore può agire non per ottenere un importo economico a titolo retributivo, atteso che il buono pasto non è monetizzabile, ma per ottenere un ristoro economico a titolo di risarcimento del danno per equivalente.

Corte d'Appello Napoli - Sez. lavoro - sent. 1930/2025 Rimborsi spesa chilometrici per attività di continuità assistenziale. I rimborsi spesa chilometrici spettanti ai medici convenzionati per attività di continuità assistenziale in comuni diversi dal presidio di appartenenza non rientrano nell'ambito delle spese per "missioni" disciplinate dall'art. 6, comma 12, del D.L. n. 78 del 2010 D.L. 31.05.2010, n. 78, convertito in legge con L. n. 122 del 2010. Pertanto, tali rimborsi non possono essere sospesi o recuperati dall'amministrazione pubblica sulla base di questo presupposto.

 

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