E' la politica ad essere “incapace di autocritiche ed autosospensioni”. Ed “invece di personale e letti, manda ispettori e carabinieri”, cercando di usare i medici “come capro espiatorio anche quando dovrebbe essere orgogliosa del lavoro” che svolgono “in condizioni drammatiche, come a Nola, semplicemente salvando vite umane”.
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10 gennaio 2017
Le immagini del Pronto Soccorso dell’ospedale di Nola diffuse dai media sono certo drammatiche: non più l’abituale sovraffollamento di pazienti in barella, quando va bene, uno accanto all’altro, in attesa di un posto letto che non c’è, ma pazienti per terra, unico spazio disponibile per potere loro prestare le cure di cui hanno bisogno. Una novità, tra le foto di pazienti posteggiati sul tavolo operatorio, su panche o su barelle sottratte alle ambulanze, tra operatori stravolti che riempiono da tempo le pagine delle cronache nazionali e cittadine.
Per una volta, però, la latitudine non c’entra visto che lo stato dei Pronto Soccorso è rimasto l’unico elemento nazionale di un Servizio Sanitario balcanizzato.
La trasformazione in corso da anni dei PS da strutture deputate all’emergenza ed all’urgenza in ambienti inadeguati, insicuri e, non di rado, indecenti, ha la sua prima causa nel fenomeno della l'attesa, di ore o di giorni, di un posto letto che non c'è, per un ricovero che pure è stato ritenuto necessario. Ma Governo e Regioni continuano a dare “la colpa” all’influenza ed al flop della vaccinazione, o ai cittadini che non distinguono tra patologie banali e serie, piuttosto che prendere atto di una realtà che è il prodotto dei tagli di posti letto e di personale che hanno effettuato in tutti gli ospedali pubblici del Paese.
Ogni volta la politica si chiama fuori, dimenticando i 70.000 posti letto che negli ultimi 10 anni, sono stati tagliati in assenza di una contestuale riforma delle cure primarie. O le condizioni di lavoro di migliaia di medici, spesso precari, che mettono la loro faccia davanti alle attese dei cittadini, vittime di un blocco del turnover senza fine che lucra sul loro lavoro professionale.
L’emergenza nei Pronto soccorso è ormai un dato strutturale della sanità italiana. Epidemia influenzale o temperature elevate ne rappresentano solo l’epifenomeno, buono per fare da alibi alla mancanza di programmazione dei posti letto ospedalieri e nascondere lo scempio operato dai tagli lineare. Lo standard del 3,7 per mille abitanti, tra posti letti per acuti e post-acuti (lungodegenza/riabilitazione), che ci pone agli ultimi posti in Europa e nasconde regioni, ovviamente al Sud, che viaggiano con dotazioni anche inferiori è palesemente insufficiente per una popolazione in piena transizione demografica come quella italiana.
Pensare di riorganizzare ed “efficientare” il sistema sanitario attraverso politiche di tagli lineari su fattori produttivi importanti come i posti letto e le dotazioni organiche dei medici e degli infermieri ospedalieri, da cui dipendono i diritti di accesso alle cure dei cittadini, è una sciocchezza prima di essere un errore. Ridurre la offerta pensando che la domanda si adeguerà automaticamente è stato un cinico azzardo.
Il cronico (non occasionale o stagionale) collasso dei PS è, infatti, solo la conseguenza di una politica di sottrazione progressiva ed inesorabile di risorse umane ed economiche alla Sanità pubblica che lascia aperta la sola porta dei PS per garantire il diritto a curarsi. In che condizioni e con quali sacrifici per pazienti ed operatori, ormai è sotto gli occhi di tutti. Gli ospedali sono diventati i più grossi ammortizzatori sociali, assurti a simbolo del profondo malessere in cui sta precipitando tutta la sanità pubblica. Il diritto ad essere curato in maniera appropriata ed in condizioni dignitose è diventato quasi un privilegio. Dall’addio al posto fisso alla fine del “letto fisso”.
In uno scenario che rende sempre di più incompatibili assistenza, sicurezza delle cure e rispetto dei diritti e della dignità degli utenti, la politica cerca colpevoli e non soluzioni. Ma invece di guardarsi allo specchio si autoassolve, indicando i medici che in prima linea mettono la faccia davanti alle sofferenze dei cittadini, lasciati soli a gestire la forbice tra domande crescenti e risorse decrescenti, come capro espiatorio da esporre ad una facile delegittimazione sociale. E mostrando i muscoli ne invoca la sospensione ed il licenziamento, anche quando dovrebbe essere orgogliosa del lavoro svolto in condizioni drammatiche, come a Nola, semplicemente salvando vite umane. Ed invece di personale e letti, manda ispettori e carabinieri, avviando il valzer degli atti e delle carte, sempre a debita distanza comunque dai palazzi del potere. Incapace di autocritiche ed autosospensioni, minaccia e strepita per nascondere la propria incapacità.
Ormai, però, anche gli utenti-cittadini-pazienti hanno capito chi li ha ridotti in queste condizioni, vedendo le facce stravolte di chi, senza venire meno al dovere della cura, cerca di trovare loro un posto letto, una barella, una sedia o, in casi non rari, una scrivania dove stendersi ed essere assistito. In attesa del cartello “solo posti in piedi”. O per terra.
I corifei dell’economicismo ed i tuttologi preferiscono chiudere gli occhi per promuovere non-soluzioni con l’aria di chi descrive verità scientifiche. E dentro torri d’avorio lanciano proclami e annunci, disquisendo di piani di rientro, di spending review, di accorpamenti e di “efficientamento”, di chi è commissario e di cosa. E nessun politico e/o amministratore dedica una predica televisiva o uno striminzito “cinguettio” in difesa dei diritti dei cittadini e del lavoro nei ps.
Fino a quando si continuerà ad abusare della pazienza di medici e cittadini?