Al medico non è possibile riconoscere un diritto generale a curare. La Corte di Cassazione spiega che se si prescindesse da questa considerazione "non avrebbe alcun rilievo la volontà dell'ammalato, che si troverebbe in una posizione di soggezione su cui il medico potrebbe ad libitum intervenire, con il solo limite della propria coscienza". Al medico va riconosciuta "la facoltà o la potestà di curare, situazioni soggettive, queste, derivanti dall'abilitazione all'esercizio della professione sanitaria, le quali, per potersi estrinsecare, abbisognano del consenso della persona che al trattamento sanitario deve sottoporsi".