Il danno tanatologico, inteso come consapevolezza dell'imminente fine della vita, non può essere riconosciuto nel caso in cui la vittima non abbia patito alcun dolore di natura psichica. Nel caso specifico, la vittima era in coma e pertanto non soffrì vedendo lucidamente avvicinarsi la morte, essendo rimasto nel medesimo stato fino al decesso. La Suprema Corte è rimasta in linea con l'indirizzo delle Sez. Unite secondo cui in caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza patita durante l'agonia è autonomamente risarcibile, non come danno biologico, ma come danno morale, inteso come sofferenza della vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita, sempre che sofferenza psichica vi sia stata e, dunque, che la vittima sia stata in condizioni tali da percepire il proprio stato.