Rassegna di giurisprudenza
31/10/2023

Giurisprudenza: 5% Legge Balduzzi, Anaao Lombardia vince in Cassazione

ATTIVITÀ LIBERO-PROFESSIONALE NELLE AZIENDE SANITARIE: LA QUOTA DEL 5% DEL "DECRETO BALDUZZI” NON PUÒ ESSERE TRATTENUTA SUL COMPENSO DEL MEDICO 

L’ANAAO LOMBARDIA VINCE IN CASSAZIONE

A cura della Segreteria Regionale ANAAO-ASSOMED Lombardia e degli avvocati Francesca Fiore e Franco Scarpelli e

La Cassazione si pronuncia sull'attività libero-professionale nelle aziende sanitarie: la quota del 5% del "decreto Balduzzi” non può essere trattenuta sul compenso del medico Si è conclusa con successo una lunga battaglia compiuta da un gruppo di dirigenti medici del servizio sanitario lombardo, su ricorso patrocinato da ANAAO-ASSOMED Lombardia, assistita da Legalilavoro Milano, per affermare che la quota del 5% introdotta dal DL 13 settembre 2012, n. 158, c.d. "decreto Balduzzi", deve pesare sull’intera tariffa all’utente, e non sul compenso del medico. In breve il tema era questo: la tariffa che l’utente paga per le prestazioni (visite o altro) degli ospedali pubblici, in regime di solvenza, si compone di diverse quote (compenso del medico, compenso a personale di supporto, spese di struttura ecc.); la legge del 2012 ha voluto introdurre una quota aggiuntiva destinata a costituire fondi per finanziare iniziative dirette a ridurre le liste di attesa per le prestazioni in regime di SSN. La disciplina dice che la quota del 5% si calcola sul compenso del medico, senza altro aggiungere. Ebbene, un grande ospedale milanese non aveva provveduto tempestivamente ad avviare l’iter per ristrutturare le tariffe e inserirvi la nuova quota (iter comprensivo di  una trattativa con le rappresentanze sindacali dei medici): muovendosi con alcuni anni di ritardo, l‘ospedale pretendeva di effettuare retroattivamente la trattenuta recuperandola forzosamente dai compensi percepiti dai medici per l’attività svolta (ed effettuando addebiti unilaterali sulla retribuzione).I medici sono stati dunque costretti a ingaggiare un complesso contenzioso legale, che ha visto un primo esito negativo in Tribunale, ribaltato poi avanti la Corte d’Appello di Milano. Ora, la Corte di cassazione ha dato definitivamente ragione ai medici, confermando la condanna dell’azienda sanitaria a restituire quanto trattenuto (per alcuni medici si trattava di migliaia di euro).  

Questa la sintesi della questione; una questione non semplice da dirimere, poggiando sull’interpretazione di una disposizione che certo non brillava per chiarezza. La Cassazione ha affermato che «deve escludersi che l’Azienda Sanitaria possa applicare la trattenuta di cui all’art. 1, comma 4, lett. c), secondo periodo dellal. n. 120 del 2007, come modificato dal d.l. n. 158 del 2012, in difetto di previo accordo in sede di contrattazione integrativa aziendale e di intesa con i dirigenti interessati intervenuto in epoca successiva alla disposizione, siccome modificata; la trattenuta va applicata una volta intervenuto l’accordo successivamente all’entrata in vigore della norma, ancorché, nella determinazione della tariffa, la stessa non sia stata espressamente indicata; fermi gli specifici obblighi normativamente previsti a carico delle aziende sanitarie, è configurabile un dovere di buona fede e correttezza in capo alle parti nella sollecita definizione degli accordi successivi all’entrata in vigore della norma per consentire la piena operatività della trattenuta e la realizzazione delle finalità pubbliche cui è destinata». Questi principi sono stati affermati nelle quattro sentenze ottenute nei ricorsi patrocinati (Cass. nn. 27883/2023, 28088/2023, 28973/2023, 28975/2023). La disciplina discussa (ed erroneamente interpretata dall’Ospedale) si trova nell’art. 1, comma 4, lett. c) della l.n. 120/2007, come modificato dall’art. 2, comma 1, del d.l. n. 158/2012. La disposizione, come anticipato, stabilisce le modalità con cui devono essere determinate le tariffe applicate agli assistiti che intendono usufruire, non delle prestazioni in servizio sanitario, ma di prestazioni a pagamento nell’ambito della c.d. ALPI, specificando al contempo tutte le voci di costo che le tariffe stesse sono destinate a coprire, in ottemperanza al criterio di neutralità economica. Secondo la tesi sostenuta dall’Azienda Ospedaliera, la quota del 5%, da vincolare a interventi volti alla riduzione delle liste d’attesa, doveva essere trattenuta direttamente dagli importi percepiti dai medici (il c.d. “compenso”), non rappresentando invece un ulteriore costo che l’azienda deve calcolare nel definire le somme da erogare da parte dei pazienti (la c.d. “tariffa”). La Cassazione invece ha stabilito che:- la quota del 5% introdotta dal d.l. n. 158 del 2012 è una delle voci di costo che compone la tariffa da applicare all’utenza e non un importo da ricavare dal compenso del professionista, il quale ultimo costituisce semplicemente il parametro per calcolare tale ulteriore voce della tariffa;- le Aziende Ospedaliere non possono applicare la trattenuta del 5% in assenza di accordi collettivi aziendali di rideterminazione delle tariffe ALPI, sottoscritti in epoca successiva all’entrata in vigore della norma. I medici che, anche in altre realtà, volessero recuperare eventuali trattenute subite sulla base di interpretazioni scorrette della norma potranno dunque invocare il chiaro principio stabilito dalla Corte e, se l’Azienda ospedaliera datrice di lavoro non si adegua, proporre un’azione in giudizio per tutti i crediti (stando attenti ad agire prima della eventuale prescrizione del diritto)

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