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07/03/2023

Cassazione: l’elemento qualificante del mobbing va ricercato nell’intento persecutorio 

ORDINANZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. CIVILE, DEL 30.11.2022, N. 35235

Commento a cura di Robert Tenuta, Direttivo Nazionale Anaao Assomed Dirigenza sanitaria

Il Giudice del lavoro, adito da un pubblico dipendente al fine di ottenere da parte dell’amministrazione di appartenenza il risarcimento dei danni per mobbing, ha rigettato la domanda, per cui il predetto si è rivolto alla Corte d’Appello  che però ha confermato la sentenza del primo giudice.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello l’interessato ha proposto ricorso in Cassazione che ha cassato la sentenza impugnata, osservando quanto segue:

secondo la consolidata giurisprudenza, ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere:
a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità;
d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (così come è stato sancito  da: Cass. 10.11.2017, n. 26684; Cass. 24.11.2016, n. 24029; Cass. 24.11.2016, n. 24029; Cass. 6.8.2014, n. 17698).

La Corte di Cassazione ha poi aggiunto che l’elemento qualificante del mobbing  va ricercato nell’intento persecutorio che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria, intento persecutorio che spetta al giudice del merito accertare o escludere tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto.

Nella fattispecie il ricorrente ha denunciato una serie di provvedimenti adottati al solo fine di mortificare la sua personalità e dignità,  per cui sarebbe spettato alla Corte d’Appello accertare se tali condotte fossero lesive dei diritti del lavoratore e verificare se vi fossero stati danni da stress-lavoro.

Non essendosi la Corte d’Appello conformata ai principi suesposti la Corte di Cassazione, accogliendo  il ricorso del dipendente, ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello a cui ha demandato di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

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