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02/04/2024

Licenziamento per chi rifiuta il tempo pieno: sentenza della Cassazione

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Corte di Cassazione – Ordinanza n. 29337 del 23 ottobre 2023

Commento a cura di Robert Tenuta, Direttivo Nazionale Dirigenza Sanitaria Anaao Assomed

L’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015 stabilisce che “il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.

In forza di tale disposizione di legge un lavoratore part time (20 ore settimanali), licenziato dal datore di lavoro in quanto ha rifiutato la proposta di trasformare il suo contratto da part time a tempo pieno, ha impugnato il recesso avanti il Tribunale. L’adito Tribunale ha però respinto il ricorso ritenendo provate le ragioni del datore di lavoro poste a fondamento del licenziamento.

L’interessato si è pertanto rivolto alla Corte d’Appello che, a sua volta, ha dichiarato la nullità del recesso ed ha condannato il datore di lavoro a reintegrarlo nel posto di lavoro ed a riconoscergli un’indennità risarcitoria.

Avverso la pronuncia di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il datore di lavoro sostenendo e dimostrando che sussistono effettive esigenze economiche ed organizzative da non consentire il mantenimento della prestazione a tempo parziale, da cui deriva la impossibilità di continuare ad utilizzare la prestazione part time. Il licenziamento intimato è conseguente quindi non al rifiuto all’offerta del rapporto di lavoro full time, bensì alla impossibilità di utilizzo della prestazione parziale.

La Corte di Cassazione ha evidenziato che la Corte d’Appello non avrebbe dovuto sindacare la scelta imprenditoriale di sostituire il dipendente part time con full time, ma avrebbe dovuto verificare (ed adeguatamente motivare) se il datore di lavoro avesse dimostrato che quella era l’unica soluzione organizzativa possibile per fare fronte al nuovo andamento economico dell’azienda, in una situazione in cui il recesso di un lavoratore part time, che si sia rifiutato di modificare il proprio orario di lavoro, si manifesta appunto quale estrema ratio di soluzione del problema.

La Corte di Cassazione ha precisato inoltre che la Corte d’Appello avrebbe dovuto incentrare la sua indagine sulla verifica della impossibilità di utilizzo altrimenti della prestazione lavorativa del lavoratore part time, ponendo il relativo onere probatorio a carico del datore di lavoro.

Ad avviso della Corte di Cassazione il principio generale invocato dall’art. 8, comma 1, del d.lgs. 81/2015 ammette un’eccezione quando il datore di lavoro è in grado di dimostrare la presenza di effettive necessità economiche e organizzative che rendono impossibile il mantenimento del contratto a tempo parziale e richiedano un orario diverso e l’esigenza di un legame causale tra le esigenze di aumento dell’orario e il licenziamento. Ai fini della validità del licenziamento è richiesta non solo la prova delle ragioni effettive che giustificano il cambiamento dell’orario, ma anche la dimostrazione dell’impossibilità di utilizzare diversamente la prestazione lavorativa con orari differenti, elemento quest’ultimo fondamentale per costituire un giustificato motivo oggettivo. Nel caso specifico la Corte suprema ha ritenuto che l’azienda abbia soddisfatto il suddetto onere probatorio e di conseguenza accolto il ricorso del datore di lavoro, confermando la legittimità del licenziamento.

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