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07/05/2021

Ricorso abusivo contratti a termine: la sentenza della Cassazione

Suprema Corte di Cassazione – Sez. Lavoro del 21 Aprile 2021, n. 10568

Commento di Luca Sbaiz – Responsabile regionale Settore Dirigenza Sanitaria Anaao Assomed Piemonte

Un dirigente sanitario si era rivolto all’Autorità giudiziaria al fine dell’accertamento da parte di un’azienda sanitaria abruzzese al ricorso abusivo della contrattazione a termine.

La Corte d’Appello, in riforma della decisione del Tribunale ed in parziale accoglimento dell’istanza del ricorrente, esclusa la possibilità di conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, condannava la predetta azienda sanitaria al risarcimento del danno nella misura di 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori, facendo applicazione del meccanismo riparatorio di cui all’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello l’azienda sanitaria ha proposto ricorso per cassazione per vari motivi (la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che le assunzioni a termine erano state imposte per esigenze di continuità assistenziale e che quindi i contratti a termine in questione erano stati necessitati da situazioni contingenti; la sentenza impugnata avrebbe riconosciuto un risarcimento del danno in assenza di ogni prova).

In proposito la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che il ricorso a contratti a termine da parte della pubblica amministrazione deve restare sempre assoggettato a condizioni ed a limiti legislativamente previsti che, evidentemente, non possono essere derogati dall’amministrazione in presenza di situazioni contingenti. Inoltre, la stessa Corte ha evidenziato che nell’impiego pubblico contrattualizzato, poiché la conversione è impedita dall’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, attuativo del precetto costituzionale dettato dall’art.97 Cost., il danno risarcibile, derivante dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A., consiste di norma nella perdita di chance di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 cod. civile. Peraltro, poiché la prova di detto danno non sempre è agevole, è necessario far ricorso ad un’interpretazione orientata alla compatibilità comunitaria (la Corte di Lussemburgo ha precisato che non osta a una normativa nazionale la previsione di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, accompagnata dalla possibilità per il lavoratore di ottenere il risarcimento del danno integrale facendo ricorso a prova). La Corte territoriale correttamente ha pertanto ritenuto che ai fini del risarcimento del danno non fosse necessaria una prova specifica.

La Suprema Corte di Cassazione ha invece ritenuto fondata la censura mossa dall’azienda sanitaria alla parte della sentenza in cui viene riconosciuto il risarcimento del danno utilizzando come parametro una norma (art.18 St.lav.) applicabile espressamente solo alla diversa ipotesi del licenziamento illegittimo ed anche per avere attribuito la penale di 5 mensilità prevista dalla medesima norma, mentre si sarebbe dovuto far riferimento a quanto stabilito dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 che appunto riguarda il risarcimento del danno in caso di illegittima apposizione del termine (indennità tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione, salva la prova da parte di quest’ultimo di un danno maggiore subito).

In conclusione la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 21 aprile 2021, n. 10568, ha accolto quest’ultimo motivo di ricorso (rigettando tutti gli altri), disponendo pertanto la cassazione in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte territoriale che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame.

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