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11/11/2025

Fattore di Rischio: essere medico. È arrivato il momento di riconoscere la professione medica come usurante - Quotidianosanità.it

Responsive image Il riconoscimento della usurabilità non è una richiesta corporativa fine a sé stessa: è una questione di sostenibilità del servizio sanitario

Il riconoscimento della usurabilità non è una richiesta corporativa fine a sé stessa: è una questione di sostenibilità del servizio sanitario. I giovani medici sempre meno attratti dal settore pubblico, la fuga verso il privato, il turn-over crescente sono segnali di allarme. Un riconoscimento pratico e sostanziale delle fatiche della professione potrebbe diventare uno strumento per rendere la carriera medica nuovamente sostenibile e attrattiva

 

Quando si parla di sanità, il dibattito pubblico affronta spesso nodi evidenti — posti letto, liste d’attesa, finanziamenti — ma raramente si sofferma sul prezzo umano che pagano i medici, sul carico quotidiano – fisico, psicologico, emotivo, di responsabilità - che in modo invisibile lascia segni tangibili sulla salute dei professionisti.

Il riconoscimento della professione medica come usurante è un tema di recente discussione a livello europeo. A giugno, alcuni membri del parlamento europeo hanno presentato un'interrogazione parlamentare alla Commissione Europea su questo argomento anche grazie alle evidenze che la Federazione Europea dei Medici Dipendenti – FEMS ha messo nero su bianco in diverse iniziative: il lavoro medico, così come è strutturato nei sistemi sanitari europei, presenta tutte le caratteristiche dell’attività usurante. Purtroppo, ad oggi, in nessun paese dell'UE la professione medica viene riconosciuta come usurante, con una piccola eccezione della Bulgaria e della Romania ma per i soli medici a contatto con le radiazioni ionizzanti. 

È ora che governi, istituzioni e parti sociali si muovano con misure concrete per salvaguardare il capitale umano e professionale che assicura la cura e la salute dei cittadini, volano di crescita ed economia. 

In Italia, la recentissima sentenza della Cassazione n. 26923/2025 ha stabilito che nel caso di un medico deceduto per infarto durante un turno di lavoro prolungato, caratterizzato da condizioni altamente stressogene e turnazioni articolate, si sia verificato il nesso causale fra prestazione lavorativa e danno alla salute. Questa disposizione può rappresentare un punto di svolta nel riconoscimento del lavoro medico come usurante, riconoscendo formalmente il potenziale danno strutturale della professione medica in condizioni gravose, aprendo la porta a riconoscimenti più ampi nell’ambito della responsabilità aziendale e della tutela previdenziale.

Nel quadro della normativa italiana, la definizione di “attività usurante” o “lavoro gravoso” richiede che vi sia «un impegno psico-fisico particolarmente intenso e continuativo» e/o una attività lavorativa notturna per un certo numero di notti all’anno. L’interpretazione restrittiva della norma da parte delle istituzioni, rifacendosi ad un rigido conteggio matematico delle notti, risulta inadeguata ed inattuale nell’inquadramento del rischio e del danno che il lavoro medico ha sulla salute dei suoi operatori. Non è solo il numero delle notti a rendere un lavoro usurante ma la lunghezza dei turni, diurni e notturni, l’articolazione oraria, il prolungato stress emotivo e fisico, l’alterazione del ritmo del sonno, gli squilibri ormonali e il crescente carico di responsabilità che nella cronica cornice di tagli economici e carenza di personale non trova prospettive di miglioramento.

Anche la prospettiva di una crescente digitalizzazione della sanità avrà scarso effetto sulla natura usurante della professione medica perché, come riportato anche dal recente documento della Commissione Europea (Giugno 2025) Study of the Deployment of AI in Healthcare, l’adozione di crescenti tecnologie presenterà effetti positivi principalmente sull’organizzazione dei flussi di lavoro e sui processi amministrativi, non sul lavoro clinico.

A ciò si aggiunge un’ulteriore conferma proveniente dalla WHO Europa: lo studio MeND (Mental Health of Nurses and Doctors survey) ha raccolto oltre 90 000 risposte da 29 Paesi dell’Unione Europea, Islanda e Norvegia. I risultati sono allarmanti:
• circa 1 medico su 3 ha riportato sintomi di depressione o ansia.
• circa 1 operatore sanitario su 10 ha pensieri suicidari o di autolesionismo.
• condizioni di lavoro quali orari irregolari, turni notturni, violenza sul luogo di lavoro sono strettamente correlate a peggiori esiti di salute mentale.

Questa evidenza rafforza l’idea che l’usura non sia solo fisica ma profondamente psicologica e sistemica.

La FEMS ha appena pubblicato un Policy paper a supporto del riconoscimento della professione medica come usurante proponendo una definizione che va oltre la specializzazione o il settore di attività ma si affida nella sua valutazione su quei fattori che hanno un impatto sulla salute:

“Il lavoro usurante del medico è definito come l’attività professionale la cui organizzazione dell’orario di lavoro – in particolare i turni e il lavoro notturno –, l’intensità e la frequenza del carico di lavoro e/o la responsabilità medica connessa alla professione determinano, in modo continuo o ricorrente, un rischio apprezzabile per la salute fisica e mentale del medico”.

La forza del documento sta nella sua concretezza: non si limita a una diagnosi, ma indica cinque assi di intervento che dovrebbero guidare qualsiasi riforma seria.

1. Riconoscimento formale della professione come ardua
La FEMS chiede che la combinazione di notti, ore prolungate, stress psicologico e responsabilità medica sia riconosciuta come fattore qualificante. Questo dovrebbe tradursi in meccanismi di pensionamento anticipato o in fattori di correzione nel calcolo dell’età pensionabile paragonabili a quelli utilizzati per altre professioni ad alto rischio.

2. Riorganizzare l’orario di lavoro per ridurre stress e rischio
Riduzione delle ore cliniche e dei turni notturni senza tagli salariali, possibilità di lavoro flessibile o part-time, adeguamento dei luoghi di lavoro alle esigenze legate all’età e al genere, maggiori pause e congedi per chi opera in specialità ad elevato stress, e programmi di sorveglianza sanitaria strutturati soprattutto per chi ha più di 55 anni.

3. Garanzie finanziarie e previdenziali lungo tutto il percorso di carriera
Proposte come pensionamento graduale volontario, abbassamento dell’età pensionabile senza penalizzazioni, contributi previdenziali potenziati e piani di welfare/assicurazioni su misura per la professione medica.

4. Migliorare la soddisfazione professionale e il benessere
Maggiore autonomia professionale, riduzione dei carichi amministrativi, supporto psicologico strutturato per burnout e stress cronico, politiche family-friendly e misure per migliore integrazione vita-lavoro.

5. Progettare ambienti di lavoro che riducano la fatica
Tempo non clinico protetto per ricerca e formazione, una transizione digitale accompagnata da risorse e formazione adeguate (per evitare che la digitalizzazione aumenti la mole di lavoro), e chiarimenti normativi sul ruolo dell’IA che non scarichino responsabilità irragionevoli sui medici.

Per il contesto italiano, le indicazioni della FEMS e gli elementi forniti da WHO/Europa e dalla giurisprudenza nazionale possono tradursi in alcune priorità operative:
• Inserire la professione medica nell’elenco delle attività usuranti con criteri specifici e applicabili a ospedale, emergenza territoriale e continuità assistenziale.

• Semplificare la certificazione dei requisiti per l’accesso a pensionamenti anticipati e applicare fattori correttivi nell’età contributiva, in linea con quanto richiesto da FEMS.

• Finanziare programmi nazionali di sorveglianza sanitaria e supporto psicologico per il personale sanitario, soprattutto in vista dei dati MeND che mostrano l’allarme sulla salute mentale negli operatori.

• Adottare incentivi per ridurre i turni notturni (assunzioni mirate, riorganizzazione dei percorsi assistenziali) e introdurre normative che impediscano l’abuso di reperibilità e straordinari non compensati.

• Rafforzare i controlli aziendali sulle condizioni di lavoro e predisporre strutture di monitoraggio del benessere del personale, come suggerito dal rapporto MeND: “monitoring and reporting of health-worker well-being”.

Il riconoscimento della usurabilità non è una richiesta corporativa fine a sé stessa: è una questione di sostenibilità del servizio sanitario. I giovani medici sempre meno attratti dal settore pubblico, la fuga verso il privato, il turn-over crescente sono segnali di allarme. Un riconoscimento pratico e sostanziale delle fatiche della professione potrebbe diventare uno strumento per rendere la carriera medica nuovamente sostenibile e attrattiva, per chi la esercita oggi e per chi sceglierà di farlo domani.

 

Alessandra Spedicato – Presidente della FEMS - European Federation of Salaried Doctors
Pierino di Silverio – Segretario Nazionale Anaao Assomed

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