Cassazione Civile – Sezione Lavoro - Sentenza n. 11999 del 3 maggio 2024
Commento a cura di Robert Tenuta, Direttivo Nazionale Dirigenza Sanitaria Anaao Assomed
Un lavoratore che nei giorni in cui si trovava in permesso ex art. 33 della legge 104 del 1992 si era dedicato ad attività per nulla attinenti con l’assistenza del parente disabile è stato licenziato per giusta causa.
Il predetto ha chiesto al Giudice del lavoro che si accertasse l’illegittimità del licenziamento, sostenendo che per la maggior parte del tempo aveva proprio assistito il parente disabile.
Avverso la sentenza del Giudice del lavoro che aveva accolto la richiesta del lavoratore si è appellato il datore di lavoro.
La Corte d’Appello ha accertato che le ore dedicate ad incombenze diverse e non connesse all’assistenza erano di misura tale da giustificare gli addebiti contestati, precisando che il tempo dedicato all’assistenza non deve essere rapportato all’intera giornata, ma piuttosto all’orario lavorativo, restando irrilevanti le ore serali e notturne.
La Corte d’appello ha riformato pertanto la sentenza del Giudice del lavoro, confermando la liceità del licenziamento.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso il lavoratore.
La Suprema Corte di Cassazione ha però evidenziato che la Corte d’Appello si è limitata ad esaminare i fatti contestati, a verificare se in concreto poteva ritenersi integrata la violazione contestata d’aver utilizzato i giorni di permesso ex legge n. 104 del 1992 per finalità diverse da quelle proprie, accertando in fatto che la condotta tenuta come risultata in concreto provata, realizzava proprio la violazione contestata.
Ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola il principio di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari.
Nel suo ricorso il lavoratore aveva anche denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 del c.c. sostenendo che la sanzione irrogata sarebbe stata sproporzionata rispetto al fatto accertato deducendo che il giudizio di proporzionalità sarebbe stato omesso.
La Corte di Cassazione ha ritenuto anche questo motivo di ricorso infondato, in quanto la Corte d’Appello ha valutato la gravità della condotta accertata e l’ha ritenuta idonea a ledere il vincolo fiduciario che deve sorreggere il rapporto di lavoro, ritenendo perciò proporzionata la sanzione irrogata.
Per quanto sopra evidenziato la Cassazione civile, sez. lavoro, con sentenza del 3.5.2024, n. 11999 ha respinto il ricorso del predetto lavoratore, confermando la liceità del suo licenziamento.