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26/01/2024

Intramoenia causa delle liste d’attesa? Basta con la disinformazione! QUOTIDIANO SANITA'

di Pierino Di Silverio

Gentile Direttore,
le liste di attesa sembrano essere diventate da diversi anni il problema centrale della sanità pubblica. Se è vero che rappresentano in maniera cruda la difficoltà di accesso alle cure di una popolazione sempre più anziana, è anche vero che sono l’effetto di una serie di problemi che vengono da lontano. Dal definanziamento ventennale al taglio lineare dei posti letto (85.000) e delle progressioni di carriera (7000 unità operative in meno), dalla carenza di personale (35.000 assunzioni mancanti dal 2005) alla lenta disgregazione della medicina del territorio, dai blocchi contrattuali alla senescenza non programmata delle infrastrutture e delle tecnologie. Un insieme di criticità che il periodo sindemico ha esacerbato, rendendo più evidenti problemi che nessuno voleva vedere. Senza dimenticare l’incapacità organizzativa e gestionale di alcune Regioni, financo a spendere quanto stanziato dai Governi.

Sembra però che l’approccio alla questione continui ad essere prevalentemente di tipo ideologico, alla ricerca di capri espiatori più che di soluzioni. Filone al quale appartiene il refrain che vuole l’attività intramuraria del medico ospedaliero come causa delle liste di attesa, fino a invocarne la chiusura. Proviamo, per l’ennesima volta, a confutare con i fatti accuse gratuite quanto infondate.

  1. La spesa pro-capite dovuta alla libera professione intramoenia è 21€/anno nel 2010 e 18,4 nel 2021. E il numero di medici che la esercitano è in discesa, fino al 38,6% del totale nel 2021. Qualcuno dovrebbe spiegare su quali dati poggia l’assunto secondo cui il prolungamento dei tempi di attesa, che attualmente si misurano in anni, favorisca l’incremento dell’attività libero professionale intramoenia. Che non è così attrattiva per il medico ospedaliero, sia per ragioni di tempo, dovendola effettuare, ovviamente, solo dopo aver completato l’attività istituzionale, che per ragioni economiche. Perché se una visita specialistica costa 100 euro, al medico ne restano 35 al netto delle tasse.
  2. L’attività intramoenia permette l'accesso a prestazioni di qualità, a costi calmierati e introiti fiscali certi, intercettando risorse economiche che altrimenti andrebbero ad alimentare il settore privato (che sia questa la sua vera colpa?). Poco più di 1 miliardo all’anno, in calo dell’11,6% dal 2010 al 2015, e del 29,1% nel 2020, con 300 mln per le Aziende sanitarie, di cui circa 50 finalizzati proprio a interventi di riduzione delle liste di attesa. Sarebbe interessante sapere che uso ne fanno le Aziende.
  3. I dati ufficiali (2021) dicono che le prestazioni ambulatoriali in libera professione intramoenia rappresentano il 7% del totale erogato ogni anno dal servizio pubblico. Quelle in regime di ricovero addirittura lo 0,2%, pari a 908 dimessi in libera professione, con al primo posto il parto che non conosce, ovviamente, tempi di attesa, contro 4.863.817 nel servizio pubblico. Numeri molto al di sotto dei limiti indicati dalle leggi e dai contratti, la cui soppressione non si vede, comunque, come possa ridurre i tempi di attesa nel pubblico.
  4. La differenza tra i tempi di attesa per una prestazione pubblica e una privata ha da tempo spinto il legislatore ad intervenire. Il Dlgs 124, risalente addirittura al 1998, sancisce che se i tempi massimi di attesa per le prestazioni, nel pubblico vengono superati, il cittadino può ricorrere all’attività intramoenia con costi a carico delle aziende. Che, ovviamente, si guardano bene dall’informare i cittadini dei loro diritti.

Le liste di attesa sono una caratteristica strutturale di tutti i sistemi sanitari universalistici e non il prodotto dell’attività intramoenia. Che, anzi, potrebbe fare parte della soluzione se la legge 124/98 fosse adeguata ai tempi, fatta oggetto di capillare informazione e svuotata dell’attuale burocrazia, permettendo al cittadino di accedere direttamente alla visita privata e senza dover anticipare denaro. E se ci fosse una defiscalizzazione, come avviene per altre categorie del pubblico impiego, a incentivare la messa a disposizione di più tempo medico.

Sarebbe, forse, più proficuo rispetto a continuare a stanziare soldi che le Regioni non riescono neanche a spendere (1 miliardo negli ultimi due anni, di cui spesi solo il 61%).

I medici non sono responsabili dei mali di un sistema che sono costretti a subire e sostenere per coprire le inadempienze della politica che ha dimostrato per troppo tempo di non saper o non volere gestire la sanità pubblica. È arrivato il momento di agire per arrestare la deriva verso un sistema sanitario dove solo chi ha risorse potrà curarsi. Agli altri non resterà che aspettare. O rinunciare.

Pierino Di Silverio

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