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10/10/2023

Licenziamento dopo assenza per malattia: sentenza Cassazione

Corte di Cassazione – Sezione lavoro – Sentenza n. 22755 del 27 luglio 2023

Commento a cura di Robert Tenuta, Direttivo Nazionale Dirigenza Sanitaria Anaao Assomed

Un dipendente pubblico, dopo una lunga assenza per malattia, è stato licenziato per superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro.

Il predetto si è rivolto al Giudice del lavoro al fine di ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli, sostenendo che le norme contrattuali prevedono, oltre il periodo di comporto, la concessione di un ulteriore periodo di 18 mesi nei casi di particolare gravità ed a condizione che il dipendente ne faccia richiesta.

Il Giudice del lavoro ha però respinto il ricorso del suindicato dipendente e così pure la Corte d’Appello a cui si era successivamente indirizzato.

A fronte del diniego della Corte d’Appello l’interessato si è rivolto alla Suprema Corte, evidenziando che l’amministrazione, nell’intimargli il licenziamento, avrebbe dovuto indicare quali fossero le ragioni per le quali non è stata accolta la richiesta di concessione dell’ulteriore periodo di 18 mesi di aspettativa.

La Suprema Corte ha evidenziato che le norme contrattuali, dopo aver limitato a diciotto mesi il periodo di conservazione del posto di lavoro concesso al dipendente in malattia, prescrivono che, superato tale periodo, al dipendente che ne faccia richiesta può essere concesso di assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi in casi particolarmente gravi e che la concessione dell’ulteriore periodo di assenza deve essere preceduta dall’accertamento delle condizioni di salute del dipendente, finalizzato ad escludere che lo stesso si trovi in una situazione di assoluta e permanente inidoneità psico fisica a svolgere qualsiasi lavoro, situazione che rende applicabile la legittima risoluzione del rapporto di lavoro.

Il prolungamento del periodo di comporto è quindi subordinato, oltre che alla domanda dell’interessato, all’accertamento delle ulteriori condizioni della gravità del caso e della permanente idoneità al lavoro, in presenza delle quali, non sorge il diritto soggettivo alla protrazione dell’assenza, perché l’amministrazione pubblica non è obbligata ad accogliere l’istanza, ma solo a provvedere sulla stessa.

All’esito dell’accertamento l’amministrazione è quindi chiamata ad effettuare una valutazione discrezionale, non arbitraria, degli opposti interessi che vengono in rilievo e ad operare il bilanciamento fra l’indubbio interesse del dipendente al prolungamento del periodo di conservazione del posto di lavoro e le esigenze organizzative dell’amministrazione, che potrebbero essere pregiudicate dal protrarsi dell’assenza.

Si tratta quindi di una valutazione discrezionale che nell’impiego pubblico va espressa tenendo conto dei principi di imparzialità, trasparenza, efficienza ed economicità. Corollario di tale principio è che di quella valutazione discrezionale l’amministrazione deve dare conto allorquando, come nella fattispecie, pervenga alla decisione di rigettare l’istanza e di intimare il licenziamento.

Rilevata l’insussistenza di idonee motivazioni in ordine al mancato accoglimento della concessione dell’ulteriore periodo di aspettativa la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 16 maggio 2023, n. 22755, ha cassato la sentenza della Corte d’Appello con rinvio per procedere ad un nuovo esame attenendosi si principi sopraesposti.

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