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27/06/2023

TFS e TFR dipendenti pubblici: anticostituzionale il differimento

Corte Costituzionale – Sentenza n. 130 del 19 giugno 2023

Commento a cura di Robert Tenuta, Direttivo Nazionale Dirigenza Sanitaria Anaao Assomed

Con ordinanza del 17 maggio 2022 il TAR del Lazio ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del d.l. 28.3.1997, n.79 (normativa che prevede il differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio spettanti ai dipendenti pubblici).

Il Tar del Lazio ha dedotto che il dubbio di legittimità costituzionale è alimentato dalla giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale, in particolare con riguardo alla sentenza n. 159 del 25 giugno 2019, nella quale è stato affermato che la disciplina che ha progressivamente dilatato i tempi di erogazione delle prestazioni dovute alla cessazione del rapporto di impiego “ha smarrito un orizzonte temporale definito e la iniziale connessione con il consolidamento dei conti pubblici che l’aveva giustificata”. Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale una normativa come quella in esame può superare lo scrutinio di legittimità costituzionale solo se opera in un tempo definito e se è giustificata da una crisi contingente.

Il Tar del Lazio ha quindi concluso che la previsione di un pagamento rateizzato dei trattamenti di fine servizio comprime in maniera irragionevole e sproporzionata i diritti dei lavoratori pubblici, in violazione dell’art. 36 Cost., non essendo sorretta dal carattere contingente, ma al contrario avendo carattere strutturale.

Si è costituito in giudizio l’INPS sottolineando in particolare che l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni in tema di dilazione e di rateizzazione comporterebbe per l’Istituto un onere assai elevato, posto che nel caso i meccanismi dilatori previsti dalle norme censurate venissero eliminati, l’onere complessivo della spesa aggiuntiva sarebbe di 13,9 miliardi di euro per l’anno 2023.

La Corte Costituzionale ha quindi rilevato che al monito contenuto nella sentenza n. 159 del 25 giugno 2019 non ha fatto seguito una riforma specificamente volta a porre rimedio al vulnus costituzionale riscontrato. Il legislatore non ha infatti espunto dal sistema il meccanismo dilatorio all’origine della riscontrata violazione, né si è fatto carico della spesa necessaria a ripristinare l’ordine costituzionale violato.

Al vulnus costituzionale riscontrato all’art. 3, comma2, del d.l. n. 79 del 1997, la stessa Corte ha affermato di non poter, allo stato, porre rimedio, posto che il quomodo delle soluzioni attinge alla discrezionalità del legislatore. La Corte costituzionale ha precisato infatti che il rilevante impatto in termini di provvista di cassa che il superamento del differimento in oggetto comporta richiede che sia rimessa al legislatore la definizione della gradualità con cui il pur indefettibile intervento deve essere attuato, sottolineando però che la discrezionalità di cui gode il legislatore nel determinare i mezzi e le modalità di attuazione di una riforma siffatta deve ritenersi temporalmente limitata. La lesione delle garanzie costituzionali determinata dal differimento della corresponsione delle prestazioni in esame esige, infatti, un intervento riformatore prioritario, che contemperi l’indifferibilità della reductio ad legitimitatem con la necessità di inscrivere la spesa da essa comportata in un organico disegno finanziario che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economica finanziaria.

In proposito la Corte Costituzionale ha evidenziato, come in altre occasioni, che non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine ai gravi problemi individuati dalla presente pronuncia.

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