Non è un caso che il presidente della Repubblica sia intervenuto sul Pnrr proprio oggi: "È il momento per tutti, a partire dall'attuazione del Pnrr, di mettersi alla stanga" ha detto Sergio Mattarella davanti alla platea della conferenza nazionale delle Camere di Commercio a Firenze, citando il primo premier della storia repubblicana, Alcide De Gasperi. Non è un caso perché tra quattro giorni la Corte dei Conti presenterà alle Camere la tanto attesa fotografia in tempo reale dell'andamento della messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Anticipazioni, riportate anche da HuffPost, sono già filtrate. Colpisce ad esempio il dato sulla Sanità. Al 31 dicembre 2022 l'Italia ha speso solo 79 milioni di euro per questa Missione. Su un totale di 16 miliardi. Il problema, come fanno notare in primis i medici, sta nel cortocircuito burocratico creato dall'attribuzione costituzionale della Sanità alle Regioni. Per non parlare, ovviamente, dei ritardi causati anche in altri settori dal caro-materie prime: "Delle due l'una" dice ad HuffPost l'assessore alla Sanità della Toscana, Simone Bezzini: "O lo Stato ci fornisce le risorse aggiuntive per coprire i costi lievitati, oppure modifichiamo i progetti". Ma in entrambi i casi, c'è bisogno di tempo. E ne abbiamo sempre meno.
Partiamo dai numeri. La Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza destina alla Sanità investimenti pari a 16 miliardi di euro. Secondo una relazione che la Corte dei Conti presenterà alle Camere martedì prossimo – che segnala tra l’altro come i ritardi nella messa a terra delle risorse riguardino indistintamente la maggior parte delle missioni di spesa – l’Italia è riuscita, al 31 dicembre 2022, ultimi dati disponibili, a spendere solo poche briciole dei fondi per la salute: 79 milioni di euro. Ovvero lo 0,5% del totale programmato da qui al 2026. La Missione 6 è il fanalino di coda in questa speciale classifica di ritardi. Ora, va chiarita una cosa: i ritardi riguardano in generale il Sistema Paese Italia. Ne abbiamo parlato spesso su questo giornale. Tra le cause, in particolare, c’è la difficoltà delle amministrazioni territoriali ad assumere professionisti necessari nelle varie fasi dei progetti. Una dinamica che sta inceppando la messa a terra del Pnrr italiano e, in particolare nel settore sanitario, fa scattare un cortocircuito per cui la competenza dei progetti è delle Regioni, come stabilito dalla riforma costituzionale di inizio secolo, ma con l’arrivo di pandemia, guerra e inflazione, il variare del contesto economico intorno alle opere – aumento dei prezzi delle materie prime in particolare – impalla l’intero sistema.
Lo spiega bene ad Huffington Post un assessore regionale alla Sanità, quello della Toscana, Simone Bezzini, con una lunga esperienza di amministrazione a livello locale: “Ciò che ora ci servirebbe è un po’ più di elasticità. Abbiamo iniziato il percorso sul Pnrr nell’estate 2021. Indicammo i numeri dei progetti. Quante strutture costruire, a che prezzo e via dicendo. Ma in nemmeno due anni l’inflazione ha fatto la differenza”. Per fare un esempio concreto: uno dei capitoli fondamentali della Missione 6 sono i 3 miliardi di euro destinati al potenziamento dei servizi territoriali, con l’attivazione di oltre 1.400 case di comunità e di oltre 12.400 ospedali di comunità entro la metà del 2026. Un target messo a sua volta nel mirino dai giudici contabili, che in questi giorni stanno pressando il ministero della Salute affinché metta fretta alle Regioni nel centrare gli obiettivi previsti per il prossimo 31 marzo (tra una settimana): “Approvazione – si legge nel Pnrr – dei progetti idonei per indire le gare per la realizzazione delle strutture”. Ogni Regione ha qui l’obbligo di riportare al ministero a Roma, sulla base dei dati forniti dalle Asl territoriali, i propri fabbisogni in merito ai procedimenti delle gare.
Questo significa che il ministero oggi guidato da Orazio Schillaci si trova ad interagire con ben 21 interlocutori diversi (19 Regioni e le due province autonome del Trentino Alto Adige, Trento e Bolzano), con realtà di partenza estremamente eterogenee tra loro. Questa criticità ha portato diverse Regioni a far fatica nel comunicare, in questi primi mesi del 2023, la situazione delle aggiudicazioni. La stessa Corte dei Conti, nel richiamo scritto inviato al ministero in questi giorni, rileva una “realistica difficoltà di pervenire nei tempi, ormai ravvicinati, del target del 31 marzo 2023, all’adozione di una progettazione avanzata”. Insomma, difficile stabilire dove risiedano gli effettivi ritardi. L’idea che comincia a farsi strada è quella di un problema strutturale, più che di singole amministrazioni. Lo conferma ad HuffPost il segretario nazionale di Anaao-Assomed, Pierino Di Silverio, il sindacato dei medici e dei dirigenti sanitari: “Già ai tempi della stipula del Pnrr noi lo denunciavamo: non è una questione di quante risorse investi, ma di come le investi e di come le distribuisci. Se devi investire nella medicina di prossimità, il Piano dovrebbe tenere conto delle diversità geografiche, patologiche e territoriali delle varie Regioni. Che inevitabilmente non sono omogenee, bensì eterogenee. In questa situazione – denuncia Di Silverio – la divisione regionale delle competenze rende la partita molto più complicata. Perché è come se già si ragionasse in termini di regionalismo asimmetrico. Un errore strategico dal punto di vista dell’organizzazione sanitaria”.
Difficile non pensare – quando i medici denunciano il regionalismo asimettrico che di fatto si sta andando a delineare in ambito sanitario – a quello che potrebbe succedere con la riforma dell’Autonomia differenziata a firma Lega, che di recente ha ottenuto il primo via libera in Consiglio dei ministri. Se in altri ambiti, tale riforma potrebbe favorire una maggiore responsabilizzazione ed efficienza delle amministrazioni del territorio, come sostenuto dal promotore, il ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli, è anche vero che, se la Sanità sta andando in cortocircuito sul Pnrr per come è già strutturata, i timori che la nuova riforma possa acuire un problema strutturale già evidente non sono mal posti. Il problema è molto semplice, ed è quello che il ministro del Pnrr e degli Affari europei Raffaele Fitto sta cercando di risolvere in queste settimane, nel corso della sua continua e silenziosa interlocuzione con le istituzioni europee. Ieri era a Bruxelles per incontrare il commissario agli Affari economici della Commissione, l’ex premier italiano Paolo Gentiloni. Tra i vari dossier, in ballo c’è la ridiscussione di scadenze e importi del Piano italiano, tenendo presente dell’inflazione che ha colpito le materie prime e che dunque, a cascata, rende la realizzazione dei progetti, non solo sanitari, molto più complicata.
“Noi come Regioni magari riusciamo anche a rispettare i cronoprogrammi, ma quando si arriva alla fase di affidamento dei lavori – continua l’assessore toscano Bezzini – c’è bisogno della copertura totale. Non posso presentarmi con il 90 o il 95% delle risorse nel portafoglio e affidare i lavori senza poterle garantire al 100%. Delle due l’una: o dal governo ci arrivano più soldi, per coprire gli aggravi di costi dovuti al caro materie prime, oppure si vanno a rivedere al ribasso i progetti. Invece che costruire 70 case di comunità, ne facciamo 65”. In ogni caso, però, il problema resta. Siamo già in ritardo, come sottolinea la Corte dei Conti sia nel monitoraggio generale del Pnrr, sia per quanto riguarda nello specifico l’ambito sanitario. Per richiedere più risorse, è necessario trovare spazi di bilancio oppure maggiore flessibilità da Bruxelles. Sempre questione di mesi. Per la modifica dei progetti, serve far ripartire da capo i procedimenti burocratici. E questo farebbe saltare definitivamente la road map a tappe forzate che ci impone il Pnrr. Che sia la sanità, che siano le infrastrutture, il rischio che il Piano nazionale di ripresa e resilienza si inceppi da qui a qualche mese è sempre più elevato.