Più fondi al Sud, anche accompagnati da forme di partenariato con altre Regioni e da maggiore vigilanza e controllo dei governi nazionali, cui tocca garantire l’obbligo costituzionale di una esigibilità omogenea ed uniforme per tutti i cittadini dei Lea, dei Leo e dei Lep, oggi fortemente sperequati. Il programma Next Generation non può limitarsi a non allargare il differenziale attuale ma deve lavorare per colmarlo
30 MAR - Gentile Direttore,
anche prima della pandemia in atto nessuno poteva negare l’esistenza di rilevanti disparità regionali nell’esercizio del diritto alla salute, insieme con notevoli difficoltà ad assicurare uniforme qualità dell’assistenza sanitaria su tutto il territorio nazionale. Figlie di un modello di tutela della salute che ha visto l’obiettivo del contenimento della spesa sanitaria come prioritario rispetto alla quantità e qualità dell’assistenza, sostituendo i numeri ai diritti.
Il rapporto CNEL presentato oggi dimostra che la pandemia ha ancora accresciuto il divario: la aspettativa di vita di un bambino nato a Napoli è piu bassa di 3-10 anni rispetto ad uno nato a Milano, anche a causa del deficit strutturale di servizi sanitari e sociali.
Le difformità tra Regioni riguardano sia le risorse a disposizione che gli esiti delle cure. Il FSN viene distribuito in maniera ineguale, in base a dati storici e non ai bisogni delle popolazioni, con una quota procapite che oscilla dai 1837 euro/anno della Campania ai 2023 della Liguria. Il numero dei pl ospedalieri nelle regioni meridionali non soddisfa nemmeno lo standard nazionale, tanto basso da essere al di sotto della media UE.
Il numero di medici e infermieri è anche esso lontano dalla media nazionale. Tutti gli indicatori di performance disponibili parlano, poi, un unico linguaggio. Quello di una sanità di qualità inferiore, talvolta anche molto inferiore, nella maggior parte delle Regioni meridionali. I cittadini naturalmente ne sono consapevoli, tanto che il miglior medico al sud rimane l’aereo o il treno, e i residenti nelle Regioni meridionali – quelli che possono – vanno a farsi curare altrove. Ogni anno circa un milione di pazienti viene ricoverato in una Regione diversa da quella di residenza, ma per ogni paziente residente al Centro-Nord che viene ricoverato in un ospedale del Mezzogiorno, ve ne sono sei che fanno il tragitto inverso. E con loro 4,6 mld di euro si muovono lungo l’asse sud-nord, con il paradosso delle regioni povere che finanziano la sanità di quelle ricche. La costruzione di una rete di servizi sanitari è la prima e più grande infrastruttura sociale da costruire nell Meridione.
Per quanto riguarda l’equilibrio finanziario, fonte di continui attriti tra il governo nazionale e le amministrazioni regionali, i sistemi sanitari regionali hanno accumulato un disavanzo complessivo di quasi 38 miliardi di euro dalla modifica del titolo V in avanti. Ad aver accumulato oltre l’87% del disavanzo sono state, però, le Regioni centro-meridionali (Lazio incluso). Fino al 2014 Campania e Lazio – da sole – erano responsabili del 57% del debito sanitario complessivo.
La diagnosi è chiara. E la cura? Cos’è stato fatto per colmare il gap tra la sanità del Mezzogiorno e quella delle Regioni centro-settentrionali? Piani di rientro o commissariamento, che hanno salvato solo la Basilicata. Misure di “austerity sanitaria” che hanno evitato la bancarotta ma al prezzo di impoverire la qualità dei servizi erogati.
È giunto il momento di cambiare strategia e il Programma NEXT GENERATION EU rappresenta una occasione storica per affrontare le sfide della “sanità al sud”.
Si deve pensare a un piano di recupero della sanità meridionale che sia mirato non solo alla disciplina finanziaria ma anche al miglioramento complessivo della qualità dei servizi. Altrimenti non c’è salvezza neppure per quella del nord. Lasciare che un terzo della popolazione resti abbandonata a se stessa compromette l’esigibilità del diritto alla salute per tutti.
Declinare un diritto uno e indivisibile in 21 modi diversi cambia radicalmente lo spazio e le prospettive dei diritti di cittadinanza, che cessano di essere un bene pubblico nazionale per assumere una valenza locale, trasformando la appartenenza locale nella fonte primaria del diritto sulle risorse. Senza contare la perdita di coesione sociale, il progressivo smantellamento di garanzie formali e sostanziali, l’accentuazione degli squilibri tra Regioni più ricche e più povere perchè quest’ultime si trovano a scegliere tra sviluppo economico e spesa sanitaria, nell’alternativa tra ridurre i servizi o aumentare i tributi. Sud e Nord sono diventati così lontani da far dubitare che ci sia una terapia che possa andare bene per entrambe le realtà.
Adottando la lezione di don Milani, non si possono fare parti eguali tra diseguali, incatenando metà della popolazione a una spesa storica che cristallizza le differenze. Per recuperare il gap infrastrutturale di servizi sanitari e sociali occorre un finanziamento extra-ordinario rispetto al FSN, dedicato alla sanità del Sud, magari utilizzando le risorse di quel MES che pervicacemente continuiamo a rifiutare per la sanità. E investimenti pubblici e privati, magari in ICT o biotecnologie, per creare nuova occupazione.
Più fondi al Sud quindi, anche accompagnati da forme di partenariato con altre Regioni e da maggiore vigilanza e controllo dei governi nazionali, cui tocca garantire l’obbligo costituzionale di una esigibilità omogenea ed uniforme per tutti i cittadini dei LEA (Livelli Essenziali Assistenza), dei LEO (Livelli essenziali organizzativi) e dei LEP (Livelli Essenziali delle prestazioni), oggi fortemente sperequati.
Comunque sia, il programma Next Generation non può limitarsi a non allargare il differenziale attuale ma deve lavorare per colmarlo. Perchè forti sono i rischi per l’integrazione sociale e l’unità nazionale derivanti da un sistema in cui i cittadini non condividono gli stessi principi di giustizia sociale in un ambito rilevante come quello della salute.
Costantino Troise
Presidente Nazionale Anaao Assomed