Dicono di noi
08/02/2021

La grande fuga dei medici ospedalieri. MEDITERRANEO CRONACA

di Costantino Troise

Presidente Nazionale ANAAO ASSOMED

La legge di bilancio 2021 fornisce una panoramica sconsolante del lavoro dei medici ospedalieri al tempo della Covid-19. Tra  lavoro somministrato tramite agenzie, che per il fastidio incassano 5 milioni ognuna, lavoro a cottimo per personale dipendente, lavoro forzato per i  medici in formazione, sembra finita la stagione del lavoro senza aggettivi.

Il che conferma il quadro  di  gravissima sofferenza,  non solo dei professionisti, ma anche del sistema sanitario nel suo complesso. Una sofferenza che viene da lontano, amplificata dalla pandemia che ha reso insostenibili intensità assistenziale e carichi di lavoro, tanto che, secondo un sondaggio promosso  dall’ANAAO ASSOMED tra i suoi iscritti, solo il 54.3% dei medici ospedalieri di oggi pensa di lavorare ancora in un ospedale pubblico nei prossimi 2 anni.

E oltre il 75%  ritiene che il proprio lavoro non sia stato valorizzato a dovere durante la pandemia.

Le ragioni che spingono i medici a desiderare di  abbandonare gli ospedali, fenomeno già registrato  in Inghilterra e in Svezia, e ora emerso anche in Germania, sono riassumibili in un comprensibile spirito di sopravvivenza. L’eccesso dei carichi di lavoro, legato a una carenza numerica persistente al di là della giostra dei numeri sulle assunzioni, caratterizzate da una multiforme tipologia contrattuale, la rischiosità, anche legale, del lavoro stesso,  la sua cattiva organizzazione e lo scarso coinvolgimento nelle decisioni che lo riguardano, insieme con una retribuzione non adeguata all’impegno richiesto, rappresentano i fattori determinanti.

I medici ospedalieri si sentono schiacciati da una macchina che esige troppo e che nemmeno ascolta la loro voce, svalutati e  frustrati da una organizzazione del lavoro che non sembra avere tra le priorità i loro bisogni e le loro necessità, sia come lavoratori che come persone.

E’ ormai  chiaro che il perseguimento della sola efficienza, misurata guardando ai bilanci e agli indicatori numerici e perseguita attraverso progressive riduzioni delle risorse disponibili, è un nemico della resilienza del sistema nel suo insieme.

La emergenza Covid-19 ha amplificato e messo dolorosamente a nudo questa fragilità.

Il quadro che emerge  lascia presagire un avvenire difficile per la sanità pubblica italiana, il cui declino potrebbe  arrivare entro pochi anni se lo scenario temuto dagli stessi medici ospedalieri dovesse realizzarsi.

Per evitare il disastro serve un cambiamento radicale rispetto alle politiche del passato, cominciando a rinunciare alla illusione di potere governare un sistema complesso esclusivamente attraverso un illusorio controllo dei conti. Occorre certamente aumentare le risorse e le retribuzioni,  ma è necessario anche coinvolgere i professionisti nei processi decisionali che governano la macchina ospedaliera. Investendoli dell’autorità sul proprio lavoro che nessuno conosce come loro.

Tappare i buchi non basterà se non si rende compatibile la professione ospedaliera con le esigenze della vita al di fuori dell’ospedale, specie per le donne, avviate a costituire la maggioranza dei curanti, le quali si sentono, e sono, la parte della categoria più in difficoltà. Quasi il 75% delle mediche si dichiara insoddisfatto, in qualche misura, della conciliazione tra vita privata e lavoro, con il 20% molto insoddisfatto.

Esistono certo anche  ragioni di speranza. Al di là delle difficoltà e degli ostacoli, infatti, i medici ospedalieri conservano una grande passione per il loro mestiere, un amore per la professione capace di rendere sopportabile la fatica e sostenere i grandi sforzi e i sacrifici nella vita personale che la società richiede loro, un senso di orgoglio per quello che fanno (curare e salvare vite).

Nonostante pochi considerino ancora “prestigiosa” questa  professione, essa rimane “affascinante”  e, almeno per quanto riguarda il rapporto con i pazienti, capace di dare gratificazione.

Il compito dei decisori politici di oggi e dei prossimi anni dovrebbe, dunque, essere quello di valorizzare queste spinte positive e questo grande capitale di qualità umane e professionali. La risposta alle sfide sanitarie di oggi e di domani, che non possiamo prevedere nei tempi e nei modi più di quanto abbiamo potuto prevedere la pandemia del 2020, dipende in larga parte da come sceglieranno di trattare i medici ospedalieri durante e al termine dell’emergenza che stiamo vivendo.

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