Dicono di noi
23/10/2020

Ecco quanto costa alla salute italiana il ritardo sul Mes. Intervento di Troise su IL FOGLIO

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Al direttore - La (non)discussione sul Mes sta assumendo tonalità surreali. I 37 mld che l'Europa concederebbe in prestito, a tassi molto vantaggiosi fino a diventare negativi dopo 7 anni, per le spese sanitarie, dirette ed indirette, necessarie a contrastare la pandemia, appaiono prigionieri delle gabbie mentali di sovranismi e populismi di vario colore. Un giorno vogliono aspettare i finanziamenti a fondo perduto del Next Generation Eu che non aumentano il debito nazionale. Un altro temono lo stigma finanziario perché finora nessun Paese lo ha chiesto. Un altro ancora, il Mes non serve a finanziare spese aggiuntive. Ma davvero un prestito di 37 mld spaventa un paese che viaggia con un debito pubblico di 2.600 mld? Davvero gli investitori non saprebbero distinguere la qualità di un titolo e le sue finalità d'uso, come hanno fatto con il Sure? A meno che non si pensi che la sanità non abbia bisogno di ulteriori investimenti dopo i 4 mld previsti dalla prossima legge di bilancio.
Comunque sia, la non scelta si rivelerà alla fine non solo un ostacolo alle politiche sanitarie ma anche un errore di strategia politica. Esiste, infatti, una questione di tempistica cui sovranisti e neo-convertiti allo stigma finanziario non possono sfuggire.
I finanziamenti del Recovery Fund saranno disponibili, se tutto fila liscio, a partire dalla seconda metà del 2021. Ma l'epidemia va affrontata ora e non tra un anno.
Se vogliamo tutelare la salute dei cittadini come "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività", secondo l'articolo 32 della Costituzione, è necessario un consistente e immediato incremento delle risorse destinate alla sanità, come illustrato dal ministro Speranza alla Commissione Sanità del Senato. Altrimenti prepariamoci ad assistere a un incremento dei contagi, a un sovraccarico delle strutture ospedaliere e, inevitabilmente, a un aumento del numero di morti. Certo, il Mes non è la bacchetta magica che farà fiorire dal deserto ospedali, medici e strutture territoriali. Ma rappresenta lo strumento per fare partire un piano di spese dedicate alla sanità. Se lo avessimo chiesto a giugno oggi avremmo un SSN più resiliente nei confronti della seconda ondata, con un testing&tracing rinforzato sul territorio e ospedali che non dovrebbero chiedere aiuto a medici volontari o militari o mostrarsi in affanno per aumentare i posti letto nei reparti Covid-19 e nelle terapie intensive e sub-intensive. Avremmo, cioè, portato più in alto la sua capacità di risposta, rendendone più difficile la saturazione grazie all'uso di tutte le risorse disponibili per vincere il prima possibile.
Perché la verità è che l'incremento dei posti letto di terapia intensiva previsto è rimasto in gran parte sulla carta, il personale ospedaliero, medici in primis, rimane insufficiente rispetto all'aumento dei carichi di lavoro richiesto ed allo stress psicofisico conseguente, nessuno ha pensato a potenziare il personale per il tracciamento dei positivi o a riorganizzare la medicina del territorio, e mancano anche le Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) per seguire a domicilio i casi sospetti o conclamati. Così l'epidemia rischia di andare fuori controllo facendo ripiombare il Paese nella logica dell'emergenza. E tempo di scelte e responsabilità. Gli eroi di ieri, ritrovatisi in trincea di nuovo esposti alle "ferite di cura", si aspettano che governo e regioni si assumano le proprie responsabilità e lo facciano adesso. Perché le risorse necessarie, acquisibili attraverso il Mes, alla sanità
servono ora. Ora dobbiamo affrontare la emergenza epidemica, ora dobbiamo contrastare i contagi, l'ondata di nuovi ricoveri e la straziante crescita della mortalità.
Non tra un anno quando, forse, arriverà il Recovery fund, il novello Godot.

 

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