il comunicato in formato pdf
intervento integrale su QUOTIDIANO SANITA'
L’Anaao Assomed esprime soddisfazione per l’apertura alle assunzioni nel Patto per la Salute e fa appello alle forze politiche perchè impongano nella legge di bilancio 2020 un’inversione di rotta nella sanità che segni l’uscita da un decennio orribile per il Ssn.
“Importante – sottolinea Carlo Palermo, Segretario Nazionale Anaao Assomed - è anzitutto dare seguito alle promesse avanzate da parte di esponenti dell’attuale maggioranza governativa. Avere per almeno un quinquennio un incremento annuale del FSN intorno ai 2 mld di € può rappresentare il primo passo verso la salvezza. È necessario anche per avviare un grande piano assunzionale il cui costo è valutabile, per i soli medici e dirigenti sanitari, in circa 1 miliardo di €”.
E qui le proposte dell’Anaao Assomed:
- prevedere il superamento del limite posto dal DL “Calabria” all’incremento delle dotazioni organiche rispetto al 2018, altrimenti le Regioni in piano di rientro impiegherebbero decenni per recuperare il personale perso dal 2009 in avanti”;
- portare la disponibilità economica dal 5% attuale al 20% dell’incremento del finanziamento del Fondo sanitario regionale rispetto all’anno precedente, per almeno tre anni;
- in presenza di uno sblocco largo delle assunzioni, per far fronte alla carenza attuale e futura di specialisti, deve essere rapidamente emanato il regolamento attuativo previsto nel DL “Calabria” che permette l’assunzione a tempo determinato degli specializzandi del 4° e 5° anno con un contratto di lavoro a tempo parziale collegato a quello dell’Area della Dirigenza sanitaria.
“Ad oggi – spiega Palermo - sono circa 9.000 i medici in formazione interessati, e rappresentano, insieme con i circa 15.000 specializzati degli ultimi tre anni, una platea adeguata per tamponare la prima ondata pensionistica che avremo entro il 2022. Il risparmio sui contratti di specializzazione, conseguente all’assunzione a tempo determinato degli specializzandi da parte delle Regioni, associato comunque ad un ulteriore finanziamento statale, permetterebbe di incrementarne il numero ad iniziare dall’anno accademico 2020/2021 ad almeno 11.000/11.500, di cui 10.000/10.500 statali e 1000 regionali. Innescando tale circolo virtuoso si comincerebbe a rispondere alle attese dei medici intrappolati nell’imbuto formativo.
“Oramai il nostro lavoro è vissuto come gravoso, difficile e perfino pericoloso – prosegue Palermo - a causa del rischio di denunce ed aggressioni. Spesso si dimentica che un medico è sottoposto a ben quattro livelli di responsabilità: penale, civile, disciplinare e deontologica. Un lavoro con profonde ripercussioni sulla qualità della vita familiare e sociale che non tutti si sentono di affrontare. Lo dimostrano le scelte fatte dagli specializzandi che preferiscono discipline spendibili sul mercato privato, come cardiologia, dermatologia, pediatria, oculistica, chirurgia plastica, che sono saturate già nei primi scaglioni di merito, mentre chirurgia generale o medicina di emergenza/urgenza rappresentano scelte secondarie.
Nel contempo, in Europa cresce la domanda di laureati in Medicina. La Commissione europea indica una necessità di 230 mila medici entro il 2023. I Paesi europei, verso i quali emigrano ogni anno circa 1.500 nostri laureati, assicurano una valorizzazione delle loro capacità professionali e retribuzioni che possono arrivare al doppio di quelle italiane. Bisogna, pertanto, pensare a nuove modalità di remunerazione del lavoro disagiato eliminando l’anacronistico blocco sulle risorse accessorie stabilito dalla Legge “Madia”, e procedere alla defiscalizzazione della retribuzione di produttività così come è stato fatto nel privato, anche convenzionato.
Non sono problemi che possono essere risolti con mere politiche regionalistiche.
Il Governo e il Parlamento devono recuperare il ruolo che spetta loro perché le politiche sanitarie necessitano di un forte potere di indirizzo. Non si può accettare che il fai-da-te delle Regioni e gli ostacoli alle riforme da parte di settori del mondo accademico diventino fonte di nuove diseguaglianze in ambito sanitario. Non si può accettare che il progressivo de-finanziamento del sistema e la perdita di attrattività per il lavoro pubblico portino ad una sanità duale: una residuale, povera in finanziamenti, personale e tecnologie per i poveri; una ricca di risorse, di possibilità diagnostiche e terapeutiche avanzate e di professionalità per i ricchi. Sarebbe la fine di quel SSN fondato 40 anni fa sui principi di universalità, equità e solidarietà.