Nella dotta analisi del dott. Stefano Simonetti pubblicata sulla vostra testata, c’è un punto sul quale vorrei esprimere una visione differente, frutto di lunghe frequentazioni con la normativa europea e con le sentenze della Corte di Giustizia.
Dire che le modifiche apportate dalla Legge 133/2008 sono valide senza discussione a mio avviso non corrisponde all’impostazione che la Comunità, e la Corte di Giustizia come sua emanazione, hanno dato sino ad ora.
Facciamo un po’ una sintesi, senza dimenticare che la Corte ha un meccanismo giuridico che segue la Common Law nel quale la sentenza funge da giurisprudenza vincolante, quindi quanto giudicato in passato varrà per tutti casi simili. Analizzando un attimo la fantasiosa invenzione bipartisan “del sospende ma non interrompe”, che va al di là del credibile e delle evidenze scientifiche degli ultimi anni, evidenze che hanno fruttato persino un Nobel al Dott. Rosbash (quindi scienza contro “invenzioni”), ancora ora dopo molti anni non è dato di capire come possa coesistere con l’indicazione comunitaria che definisce il periodo di riposo come “sufficientemente lungo e continuo espresso in periodi di tempo…di almeno 11 ore continuative”. È palese che una notte con più interruzioni per la reperibilità non può identificarsi con il riposo così come lo ha definito la Comunità con l’ articolo della Direttiva (art. 1 comma 2 lettera l).
Quindi:
1) Nessuna Legge nazionale precedente o successiva, come nel caso della 133/2008, può modificare quanto statuito dalle Direttive (autoapplicative, cioè sufficientemente chiare e precise per essere valide ed applicate anche senza recepimento in un qualsiasi paese membro della Comunità).
2) È obbligo da parte delle strutture anche periferiche dello Stato disapplicare direttamente le norme che contrastino o rendano inefficace, in un paese membro, il contenuto di una Direttiva europea.
3) Se ciò non bastasse il giudice nazionale ha in prima persona l’obbligo della disapplicazione senza passare dalla Corte di Giustizia.
Quanto sopra riportato sinteticamente è estratto da sentenze della Corte di Giustizia della Comunità.
Come vede il meccanismo è semplice e non occorre scomodare la giustizia europea per far riconoscere un diritto nostro e la Comunità ci viene di nuovo in soccorso: il periodo di riposo deve essere tale da “evitare che essi, a causa della stanchezza della fatica o di altri fattori che perturbano la organizzazione del lavoro, causino lesioni a se stessi, ad altri lavoratori o a terzi o danneggino la loro salute, a breve o a lungo termine”. Ed i terzi sono nel nostro caso i pazienti che spesso sono curati da medici troppo stanchi ed in debito cronico di sonno.
Sergio Costantino
Direzione Nazionale Anaao Assomed