Due canali di accesso al lavoro, uno con il requisito del titolo specialistico ed uno low cost con la sola laurea, costituiscono una soluzione apparentemente semplice, ma sbagliata, a problemi complessi, alla base della carenza di specialisti. Gli effetti più rilevanti, sarebbero la rarefazione dei concorsi della dirigenza medica e sanitaria, il rallentamento dei processi di stabilizzazione del personale precario, la convivenza negli stessi spazi fisici, e magari a fare lo stesso lavoro, di status giuridici ed economici differenti. Ulteriori segnali del malessere profondo in cui sta precipitando l'intera sanità pubblica.
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L’accesso al lavoro medico nel SSN con la sola laurea, ri-proposto dalle Regioni davanti alla Commissione Sanità del Senato, non può che essere a tempo determinato ed a scopo formativo, aggiuntivo, quindi, delle dotazioni organiche correnti, e con condizioni di lavoro, compresi livelli retributivi e job description, definite nel CCNL della dirigenza medica. Solo così – sostiene l’Anaao Assomed - potrebbe dispiegare il suo effetto positivo di aumentare il numero dei contratti di formazione specialistica, prima e parziale risposta al dramma dell’imbuto formativo.
Le Regioni, corresponsabili per acquiescenza al monopolio dell’Università ed al definanziamento degli ultimi Governi, del flop della programmazione del fabbisogno di specialisti che oggi mette a rischio la sostenibilità del SSN, mirano all’azzeramento del capitale formativo dei medici, funzionale alla ulteriore riduzione del costo del lavoro dipendente, già precipitato al 29,7% della spesa totale. Consentire l’accesso al SSN dei laureati in medicina e chirurgia, a tempo indeterminato e ad invarianza del costo complessivo della dotazione organica, significherebbe, infatti, procedere lungo la progressiva svalutazione del lavoro professionale, fingendo equivalenza, di competenze e conoscenze, ma non di stipendio, tra chi comincia e chi finisce l’attività lavorativa. Dotazioni organiche riempite con laureati assunti al massimo ribasso per imprecisate “funzioni di supporto”, finirebbero con il trasformarsi in contenitori di tuttologi privi di identità giuridica, chiamati in primis a tappare i buchi delle organizzazioni.
Due canali di accesso al lavoro, uno con il requisito del titolo specialistico e uno low cost con la sola laurea, costituiscono, in assenza di percorsi condivisi, una soluzione apparentemente semplice, ma sbagliata, a problemi complessi, come quelli che sono alla base della attuale carenza di specialisti. Gli effetti più rilevanti, voluti o meno, sarebbero la rarefazione dei concorsi della dirigenza medica e sanitaria, il rallentamento dei processi di stabilizzazione del personale precario, la convivenza negli stessi spazi fisici, e magari a fare lo stesso lavoro, di status giuridici ed economici differenti. Ulteriori segnali del malessere profondo in cui sta precipitando l'intera sanità pubblica.
Un’ipotesi da rigettare, anche perchè incapace, per la sfasatura temporale ed il gap professionale tra laureato neoassunto e specialista in quiescenza dopo 40 anni di attività professionale, di fornire soluzione al problema per il quale sarebbe nata, cioè l’odierna e drammatica carenza di specialisti. Per la quale, una via percorribile in tempi brevi è l’ammissione, in via straordinaria e provvisoria, degli iscritti all’ultimo anno del corso di specializzazione ai concorsi, se disertati da candidati in possesso del requisito richiesto, come alcune Regioni hanno fatto in passato e si apprestano a fare oggi.
Mentre il Ministro della Salute annuncia una riforma in grado di allineare numero di laureati e numero di accessi alla formazione post laurea – conclude l’Anaao - sarebbe paradossale avviare una controriforma su iniziativa delle Regioni. Proprio quando lo stallo, a causa di nodi economici non ancora sciolti, del rinnovo del CCNL della Dirigenza medica e sanitaria dopo 9 anni di blocco denuncia una pericolosa linea di frattura tra i professionisti ed i loro datori di lavoro.