Editoriali
28/09/2006

La Finanziaria e i diritti dei medici, di Carlo Lusenti

Dirigenza Medica n. 7/8/2006

Più di 30 miliardi di euro, come non se ne vedevano da più di un decennio.

Giusta? Sbagliata? Equa? Iniqua? Medicina necessaria per la salute del Paese, o purga punitiva per selezionati ceti nemici?

Su queste opposte analisi si confronteranno, e scontreranno, per i prossimi tre mesi opposte, ma a volte anche contigue (competition is competition), parti politiche, dentro e fuori le aule parlamentari, ed anche opposte posizioni e interessi personali.

Con i soliti modi e stili, rissosi e superficiali, con molto volume e pochi dubbi, nell'eterna commedia di un paese in cui la situazione, come diceva Flaiano, è sempre drammatica e mai seria.

Non è questo per fortuna il nostro compito: fare i laudatores di complemento per una parte o i nemici giurati dell'altra.

Il compito di un sindacato autonomo di medici pubblici è quello di fare analisi motivate, formulare giudizi documentati, proporre soluzioni utili e praticabili, restando fedeli alla propria storia ed ai propri valori costituenti.

Senza usare le categorie della politica e senza farsi usare dai suoi argomenti.  

Lasciando a ciascuno compiere liberamente le scelte e gli atti che più ritiene utili e giusti.

Compito non facile a cui mi accingo, potendo contare a tutt'oggi su dati non completi e completamente chiari, che nel corso dell'iter parlamentare promettono di cambiare e confondersi ulteriormente.

Iniziamo da un dato confortante: il finanziamento del servizio sanitario è sufficiente. Non mi spingo oltre nel giudizio, ma i 101,3 miliardi di euro stanziati sono sicuramente il segno della convinta difesa di un servizio sanitario pubblico e nazionale, non considerato come costo da tagliare, ma piuttosto come irrinunciabile presidio di civiltà e giustizia sociale.  

Se vogliamo citare due fonti di conferma a questo giudizio ricordiamo la valutazione positiva di tutte le Regioni, che sottoscrivendo il patto con il ministero della salute si impegnano a fornire ai cittadini adeguati servizi a fronte di adeguato finanziamento e, in modo speculare, la critica di Confindustria che non ha perso l'occasione per lamentare il tradimento dell'impegno al rigore ed al recupero degli sprechi, che naturalmente va sempre fatto in conto terzi.

Purtroppo non possiamo fermarci qui, seppur centrale nella valutazione e decisivo per le nostre condizioni di lavoro, il tema del finanziamento non è l'unico che riguarda la categoria e non conclude l'analisi sul primo testo della prossima legge di bilancio.

Tre sono i capitoli principali su cui è necessario soffermarsi per esprimere una valutazione complessiva e, lo dico in premessa, negativa.

La rimodulazione delle aliquote IRPEF, seppur finalizzata ad un incontrastabile principio di equità, colpisce in pieno una categoria di dipendenti pubblici che da sempre, se non altro per il prelievo alla fonte, ha fatto sino in fondo il proprio dovere.

Inoltre, senza voler alimentare inutili dibattiti sul ceto medio, il provvedimento lascia inalterati i contributi per redditi oltre i 100.000 euro, e premia i contribuenti fraudolenti con risibili dichiarazioni annue sotto i 40.000.

Oltre che un regalo agli evasori, questa scelta rischia di essere un formidabile disincentivo per chi immagina la crescita professionale anche come un elemento di sostegno del reddito.

Il contributo di solidarietà, ipotizzato, ma non ancora definito, per le pensioni cosiddette “d'oro” (55.000 euro lordi/anno), che altro non sono che il risultato di una contribuzione previdenziale senza eguali tra i dipendenti pubblici e privati, è un onere che va a colpire diritti acquisiti garantiti da un fondo previdenziale da sempre in attivo.

Infine l'insufficiente finanziamento del 2007 per il rinnovo contrattuale, che si aggiunge all'inesistente finanziamento del 2006 stanziato dal precedente Governo, dà luogo ad una moratoria biennale di fatto del rinnovo di un contratto già scaduto.

E' del tutto evidente che i suddetti tre elementi negativi si concentrano e si sommano in capo alla categoria dei medici ospedalieri, e solo ad essa, creando una inaccettabile e ingiusta sperequazione riguardo al contributo che il mondo del lavoro è chiamato a dare agli obiettivi di bilancio.

Il rischio maggiore, oltre al certo danno economico, è che in questo modo si alimenti un clima di demotivazione e frustrazione, un senso di abbandono e rifiuto rispetto agli obiettivi professionali e di sistema di chi si sente ingiustamente penalizzato ed escluso da scelte più giuste e condivise.

Per queste ragioni il giudizio è negativo e per le stesse ragioni ci batteremo nelle sedi istituzionali, con intransigenza e senso di responsabilità, per scelte più eque e corrette.

Per dare come sempre il nostro contributo al progresso sociale e civile di un paese a cui diamo, e da cui pretendiamo, fiducia e rispetto.

 

Carlo Lusenti

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