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04/03/2021

Europa e Covid-19: quale impatto sugli operatori sanitari? Indagine Fems

di Alessandra Spedicato Capo Delegazione Anaao Assomed in FEMS

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A fine gennaio scorso, i Delegati dei Paesi membri della FEMS - European Federation of Salaried Doctors - si sono incontrati online per confrontarsi sulla situazione pandemica e sulle misure adottate, nei diversi Sistemi Sanitari, a tutela di medici e professionisti sanitari.

Nel corso dell’incontro sono stati presentati i risultati di un questionario, visionabile sul sito FEMS (https://www.fems.net/images/Fems_documents/Documents/2021/F21-003_COVID-19_FEMS_Report_31_12_2020.pdf che, se confrontato con quanto emerso da un altro documento di giugno 2020 https://www.fems.net/images/Fems_documents/Documents/2020/F20-047_COVID-19_FEMS_Report_12_06_2020_REV_Sept_2020.pdf, apre numerosi punti di domanda su quello che è stato ed è ancora l’impatto dell’infezione da Sars-Cov-2 su sistemi sanitari e suoi operatori.

Il trait d’union dell’incontro è stato soprattutto la difficoltà a reperire dati certi e di univoca interpretazione da utilizzare per formulare ipotesi, commenti e comparazioni. La definizione di morte per Covid può essere un esempio.

La tabella n.1 riporta le morti per Covid al 31 dicembre 2020 e al mese di Giugno dello stesso anno. Rapportando questi numeri con la popolazione generale si osservano tassi di mortalità differenti nei diversi paesi (spicca agli occhi il triste record dell’Italia) di difficile giustificazione; scartando l’ipotesi della prolungata e paneuropea impreparazione alla gestione pandemica (ma vogliamo proprio escluderla???), è probabile che questi numeri, al netto di suscettibilità genetica, densità di popolazione, elevata età media, possano essere giustificati anche dalla modalità in cui le morti per Sars-Cov-2 vengano considerate tali e dalla quota di popolazione infetta che viene gestita in ambiente domiciliare rispetto alla percentuale di pazienti ospedalizzati.

 

 

SLOVENIA

AUSTRIA

BELGIO

FRANCIA

ITALIA

OLANDA

PORTOG

ROMANIA

Popolazione

2,096,000

8,902,600

11,467,923

67,098,824

60,359,546

17,407,585

10,123,420

19,401,658

Giugno 2020 n° decessi per Sars-Cov-2

 

109

 

687

 

9696

 

29734

 

34345

 

6053

 

1505

 

1992

Dicembre 2020 n° decessi per Sars-Cov-2

 

2074

 

6826

 

19441

 

64992

 

74159

 

12512

 

9920

 

16654

Tab.1

Elemento positivo che emerge dal questionario è l’importante incremento nel sistema di testing e tracing in tutti paesi europei anche se l’Italia non si classifica in una posizione virtuosa rispetto agli altri, considerando il numero di test molecolari rispetto alla popolazione. In proporzione solo la Germania ha fatto peggio.

Anche i dati che possono rappresentare possibili campi di azione sindacale, nazionale o comunitaria sono lacunosi, non di univoca interpretazione e di difficile reperimento. Non esiste, al momento, un database che identifichi se un operatore infetto o deceduto abbia operato sul territorio o nel sistema ospedaliero, quale ruolo abbia ricoperto e il livello di esposizione. Questi elementi potrebbero risultare utili per definire standard ottimali di organizzazione e sicurezza sul posto di lavoro. Se è vero che durante la prima ondata numerosi paesi, incluso il nostro, hanno affrontato, nelle prime settimane, una grave carenza di DPI, che cosa giustifica, oggi, la diversa percentuale di medici ed operatori infetti tra i vari paesi? Nei Paesi Bassi, da giugno a oggi vi è stato un aumento esponenziale di operatori infetti; nelle ultime quattro settimane, in Italia la percentuale di operatori infetti rappresenta circa il 5% del numero di soggetti infetti mentre in Germania questa percentuale scende al 4%. Se le misure di protezione individuali sono considerate come acquisite e standardizzate nei diversi contesti, che cosa può giustificare queste differenze? Un’ipotesi è il contesto organizzativo che, almeno in Italia, ancora vede, negli ospedali una commistione tra realtà Covid e “reparti puliti” con l’inevitabile diffusione del virus tra gli operatori.

I vari governi hanno cercato di riconoscere ai professionisti della sanità un bonus per lo sforzo ‘eroico’ che è stato messo in campo e per il notevole esubero orario cui i medici sono andati incontro. È ironico osservare come gli incentivi erogati riflettano la politica nazionale di valorizzazione del lavoro medico: nei paesi dove i medici ricevono uno scatto di carriera ogni due anni (Francia) il lavoro straordinario è stato ben remunerato, anche con incrementi stipendiali, altre realtà hanno avuto bonus occasionali (Italia) mentre paesi più poveri dell’est Europa non hanno percepito alcuna forma di premialità.

Dalle diapositive, emerge la fotografia al 31 dicembre 2020 della percentuale di posti letto ordinari e di Terapia Intensiva occupati per il Covid. Questa percentuale non ci dice l’andamento nelle settimane precedenti e quanto questo abbia influito sull’interruzione delle attività ordinarie ambulatoriali, di ricovero e di chirurgia dei vari ospedali. È necessario mettere in atto un’analisi dei fabbisogni di personale, delle necessità organizzative e strutturali per poter nel medio e breve termine recuperare le mancate prestazioni effettuate così da non avere ulteriori ripercussioni sulla salute dei cittadini e sul carico di lavoro dei professionisti della Sanità.

L’incontro ha lasciato aperti molti più interrogativi di quanti ne abbia soddisfatti: quanti soldi sono stati investiti nella fase di emergenza? C’è un rapporto tra la mortalità e la quota di fondi che le diverse nazioni hanno, negli anni precedenti la pandemia, stanziato per la sanità? Nonostante in Europa siano presenti diversi sistemi organizzativi nell’assistenza sanitaria, nessuno di loro ha risposto in modo efficace ad una pandemia. È possibile allora ridisegnare il sistema di cure, diviso tra ospedale e territorio, per rispondere all’inevitabile comparsa di nuove malattie? È possibile farlo mantenendo il dogma di una sanità pubblica, garante di un accesso libero, equo e universalistico alle cure?

Qualunque sia la risposta a queste domande, è sicuramente doveroso che, nel dogma di una sanità pubblica, sia inclusa la tutela e il riconoscimento della professionalità di chi vi lavora senza sosta e a rischio della propria incolumità.

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