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02/11/2020

Il nostro grido è: assumere! La relazione di Palermo alla Direzione Nazionale

DIREZIONE NAZIONALE ANAAO ASSOMED 30 OTTOBRE 2020

Relazione di Carlo Palermo, Segretario Nazionale. 

L’aumento dei contagi da SARS-CoV-2, oramai ad andamento esponenziale, che determina un parallelo e progressivo aumento dei ricoveri e dell’occupazione dei posti letto nei reparti Covid-19 e in quelli di Terapia sub-intensiva ed intensiva, associato con l’influenza stagionale alle sue prime avvisaglie, sta portando ad una saturazione delle capacità massime di resilienza del SSN e ad un preoccupante aumento dei carichi di lavoro per il personale ospedaliero in servizio. Con una curva dei contagi che è la più ripida tra i Paesi europei, in molte regioni siamo già nello scenario 4 ipotizzato dall’ISS che prevede restrizioni generalizzate con estensioni e durata da definirsi in base al quadro epidemiologico, limitazione della mobilità individuale, fino ad un lockdown nazionale. Troppo tempo è stato perso da giugno in poi, ora è necessario flettere la curva dei contagi, raggiungere un reset che ci permetta di affrontare in condizioni migliori l’epidemia sotto il profilo organizzativo e di ridurre il carico di ricoveri sul sistema ospedaliero, tutelando per tutti i pazienti il diritto di accedere alle cure migliori e alla possibilità di superare la criticità clinica.

La trincea territoriale è saltata per l’esplosione dei contagi e l’impossibilità di seguire i tracciamenti quando i positivi giornalieri diventano diverse decine di migliaia; è saltata l’assistenza domiciliare per le difficoltà organizzative delle Usca e l’accesso alle visite ambulatoriali è diventato sempre più problematico. Mancano alberghi sanitari per l’isolamento o la quarantena, in particolare quando si vive in condizioni di disagio economico e sociale e il proprio domicilio è inadatto.

Per i Cittadini che non trovano risposte sul territorio, l’unico baluardo rimane l’Ospedale. L’unica struttura che garantisce in ogni caso, per 365 giorni all’anno senza interruzioni giornaliere, una risposta alle loro richieste, sia a quelle appropriate che a quelle inappropriate. Ma i reparti dei nostri Ospedali rischiano il collasso con l’attuale livello di pressione sanitaria. Il PS risente in “entrata” del mancato filtro territoriale e in “uscita” sconta la difficoltà di reperire posti letto per ricoverare i pazienti che lo necessitano. I posti letto nelle aree Covid a diversa intensità di cura, con l’attuale andamento dei ricoveri, entro i primi 10 giorni di novembre saranno saturati. Arrivano al pettine i nodi dei tagli effettuati sui posti letto nell’ultimo decennio: almeno 45 mila che diventano più di 80 mila se il nostro sguardo parte dall’inizio del nuovo secolo.

Solo dopo la prima ondata epidemica, il Governo ha disposto, con il Decreto “Rilancio”, l’incremento di 3500 posti letto di Terapia intensiva, portandoli ad un tasso tra i più alti in Europa (14 per 100 mila abitanti), e un upgrade tecnologico di 4225 di Terapia sub-intensiva, di cui 2000 trasformabili in intensivi in caso di saturazione dei primi 9000 previsti, per altro non totalmente approntati. E le Regioni preparano autonome iniziative per far fronte alla crescente e massiva richiesta di ricovero per pazienti con forme di Covid-19 di media gravità, tanto che il Governatore della Campania ha dichiarato di voler attivare 22.000 posti letto in area Covid. E speriamo che si sbrighi visto le condizioni delle strutture ospedaliere della sua Regione, augurandoci che il progetto sia accompagnato dalla assunzione di migliaia di medici e infermieri, ammesso che si trovino. 

La carenza di medici specialisti sconta un decennio di programmazione dei fabbisogni totalmente fallimentare. Bisogna considerare tre fattori che incidono profondamente sull’andamento dell’occupazione nella sanità pubblica nell’attuale fase epidemiologica. Se confrontiamo i dati del Conto annuale dello Stato del 2009, punto più alto delle dotazioni organiche nel SSN, a ridosso della crisi dei debiti sovrani, con quelli del 2018, ultimo dato disponibile, all’appello mancano 6 mila medici e 2 mila dirigenti sanitari (biologi, farmacisti, etc). Inoltre, la crisi epidemica concomita con il punto più alto della curva pensionistica dei medici dipendenti del SSN, oramai arrivato a circa 6000 quiescenze ogni anno. Infine, la riorganizzazione dei servizi in area critica, in applicazione del DL “Rilancio”, avviene a risorse di personale pressoché invariate rispetto all’era pre-Covid, visto che le assunzioni effettuate a primavera, circa 7 mila medici, sono sostanzialmente da considerare sostitutive dei pensionamenti dell’ultimo anno, per giunta con tipologie di rapporto di lavoro prevalentemente precario. A meno che i posti letto in incremento non siano considerati autosufficienti, si dovrebbero assumere almeno 2 mila anestesisti rianimatori e altrettanti tra medici di emergenza-urgenza, internisti, infettivologi, pneumologi. Una carenza imponente che si riflette nel pesante e preoccupante peggioramento delle condizioni di lavoro che mette a rischio la qualità e la sicurezza delle cure erogate. 

Il nostro grido in questa fase così critica è: assumere, assumere, assumere! 

Assumere specialisti a tempo indeterminato sfruttando le graduatorie concorsuali ancora valide. Assumere a tempo determinato con avvisi pubblici snelli di breve durata, al massimo 2 settimane, aprendo anche agli specializzandi del terzo, quarto e quinto anno come prevede la legislazione vigente. Assumere anche i neo laureati e i “camici grigi” per garantire le visite domiciliari, il controllo negli alberghi sanitari e le attività del 118.

Un aspetto, derivante dagli attuali modelli organizzativi emergenziali, necessita di essere stigmatizzato. Stiamo parlando del blocco delle attività “ordinarie” che rischia di far emergere a distanza un'altra epidemia: quella dei malati non-Covid. Durante la prima ondata, concentrando sull’emergenza Covid tutte le risorse di personale, sono state bloccate le attività sanitarie diagnostiche e terapeutiche considerate non urgenti. Di fatto, sono state rimandate 13 milioni di visite specialistiche, 500 mila interventi chirurgici in elezione, circa 2 milioni tra esami di screening e follow-up in ambito oncologico. Il ritardo inevitabilmente avrà ricadute negative con un peggioramento a distanza della prognosi e della mortalità. 

I Medici ospedalieri e i Dirigenti sanitari sono stati in prima linea dall’esordio di un’epidemia che tra gennaio e febbraio ha eluso la barriera territoriale confondendosi nella coda di quella influenzale, affrontando, ad una età media la più alta del mondo, un nemico sconosciuto, invisibile e altamente diffusivo, con poche o senza protezioni adeguate, con la sensazione di essere abbandonati in prima linea nella “solitudine degli eroi”, a rischio di trasformarsi da curanti in untori, pagando un prezzo elevato fisico, tra molti contagi e tanti morti, psicologico, economico. Per usare un linguaggio bellico, hanno rappresentato, e rappresentano di nuovo, gli stivali sul terreno necessari per vincere qualsiasi guerra, anche la più tecnologica e sofisticata, esprimendo nella abnegazione il senso della loro professione.

La dura realtà di oggi sta precipitando loro addosso trovandoli stressati, ancora in carenza numerica, demotivati, con retribuzioni inchiodate al 2009, visto che le aziende non hanno trovato tempo e modo di applicare un contratto peraltro già scaduto da due anni.

La pandemia ha cambiato le carte in tavola, tanto che niente in sanità potrà essere come prima. Investire in sanità pubblica, una formula che si ripete da mesi come un mantra, senza che sia sostenuta da scelte rapide e coerenti di adesione agli strumenti economici di supporto messi in campo dall’Europa, come la linea “Supporto alla crisi pandemica” del Meccanismo europeo di stabilità, significa, in primis, investire sul suo personale, Medici e Dirigenti sanitari soprattutto, che della sanità pubblica sono la questione decisiva. 

La sanità del COVID, sospesa tra il Recovery fund, da spendere domani e la margherita del Mes da sfogliare oggi, ha invece archiviato gli angeli e gli eroi, quei “medici che nell’emergenza hanno fatto un lavoro straordinario”, per dirla con Mario Draghi. Il personale, medico soprattutto, del SSN,”il nostro bene più grande” secondo il Ministro Speranza, è scomparso dal radar della politica del cambiamento, insieme con il burnout che lo spinge alla fuga dall’ospedale: i giovani verso l’estero e i meno giovani verso il privato. Frustrato ed insoddisfatto, numericamente carente, mal pagato, demotivato, stressato ed oberato di attività cartacea, continua a vivere in pessime condizioni di lavoro, cui l’emergenza pandemica ha dato il colpo di grazia amplificandone oltre ogni misura il disagio. Condizioni che tutto il personale sanitario che opera negli Ospedali sarà costretto a rivivere in questa lunga stagione autunnale e invernale di ripresa dell’epidemia.

Ma il Governo non può ignorarne ruolo e malessere, anche nel cantiere di proposte con le quali prova ad andare al di là della lista della spesa. Lo scatto che oggi serve alla sanità è, soprattutto, la valorizzazione del suo “capitale umano” attraverso una profonda innovazione dell’organizzazione e della governance del sistema”. 

Per i dirigenti sanitari del SSN, tramontata la retorica, tutto sarà peggio di prima se la rivoluzione copernicana, di cui parla il Ministro, non parte da un Piano Marshall dedicato, una svolta in sette punti:

1. migliorare le condizioni del lavoro ospedaliero e ricostruire un sistema che privilegi, anche per la carriera, i valori professionali rispetto a quelli organizzativi e aziendali; 

2. aumentare le retribuzioni, detassando gli incrementi contrattuali e il salario accessorio, compensando il rischio contagio, incrementando il valore del rapporto esclusivo; 

3. attribuire un nuovo stato giuridico alla dirigenza sanitaria, nel segno della dirigenza “speciale”, e riconoscere il loro ruolo peculiare attraverso forme di partecipazione ai modelli organizzativi ed operativi; 

4. introdurre il contratto di formazione/lavoro per gli specializzandi e riformare la formazione post laurea, divenuta vera emergenza nazionale, terreno di coltura per il neocolonialismo delle Scuole di medicina nei confronti del mondo ospedaliero; 

5. attuare forti politiche di assunzioni che recuperino i tagli del passato, come ci chiede la UE, escludano il precariato, eterno e non contrattualizzato riducendo la eterogeneità nei rapporti di lavoro ospedaliero;

6. completare la legge sulla responsabilità professionale con il passaggio ad un sistema “no fault” sul modello europeo;

7. assumere il contratto di lavoro come strumento di innovazione del sistema e di governo partecipato.

Una politica senza visione e senza attenzione per i professionisti sanitari, che confidi solo nei bassi salari e negli strumenti della cultura aziendalistica, è destinata ad affossare il (fu) sistema sanitario (nazionale) migliore del mondo. 

Servono idee per un radicale cambiamento di paradigma sul ruolo e sullo status dei Medici e dei Dirigenti sanitari, che sono strategici nello sviluppo di un sistema complesso come quello sanitario. Dove il “capitale umano” conta quanto e più di quello economico. Lavorare in ospedale non deve essere una sofferenza perché il disagio crescente dei professionisti, sommandosi alla crisi di fiducia dei Cittadini a fronte della montagna di prestazioni negate e all’emergere dell’epidemia dei malati non-Covid, mina la sostenibilità del sistema sanitario, quali che siano le risorse investite. 

Servono nuove risorse a loro dedicate, a partire dalla prossima Legge di Bilancio, ed interventi legislativi che valorizzino il loro ruolo. E serve un CCNL 2019-2021 che non sia ordinaria amministrazione, a partire dalla entità degli investimenti necessari per il lavoro, che della sanità rappresenta il segmento più costoso e complesso, ma anche il più prezioso, se si vuole andare “oltre la pandemia”. Un CCNL da aprire al più presto per affrontare la seconda ondata con strumenti e segnali adeguati, da chiudere nel più breve tempo possibile per avviare il “Rinascimento della sanità”. Anche cosi si combatte il virus e si difende la salute pubblica.

È tempo di comprendere che il lavoro dei Medici ospedalieri e dei Dirigenti sanitari reclama, oggi e non domani, un diverso valore, anche salariale, diverse collocazioni giuridiche e diversi modelli organizzativi, che riportino i Medici e i Dirigenti sanitari e non chi governa il sistema, a decidere sulle necessità del malato. Il futuro della sanità può nascere solo da un impegno collettivo, da un confronto e un dialogo con le istituzioni per condividere un progetto comune. 

Noi siamo pronti.

Carlo Palermo
Segretario Nazionale Anaao Assomed

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