SSN: il calabrone continuerà a volare? Quotidiano Sanità

Nel giorno del 47° compleanno del Ssn, una lettura del passato e le riflessioni sul futuro della più importante infrastruttura civile e sociale del Paese

23 Dicembre 2025

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Il 21 dicembre del 1978 salpò il veliero del Servizio sanitario nazionale con 381 voti a favore, 77 contrari, 7 astenuti, il “sì” dei partiti dell’arco costituzionale e il “no” del Partito liberale, cui toccò, per ironia della sorte, il primo Ministro della Sanità, e di quel MSI-DN i cui eredi sono oggi al Governo del Paese. Dopo un dibattito protrattosi per anni, dentro e fuori dalle stanze della politica, in tre giorni si concluse l’iter parlamentare di varie proposte convergenti con il varo di “una legge difficile da fare” ma “impossibile da evitare” (Giovanni Berlinguer), che la stessa Fnomceo accolse con diffidenza se non contrarietà, e la nascita della più grande infrastruttura civile e sociale che l’Italia sia stata in grado di creare.

I principi fondamentali su cui è organizzato il Ssn fin dalla sua origine sono rappresentati dall’accesso universale alle prestazioni in ragione del bisogno, dalla sua gratuità, grazie alla copertura fiscale, e dal carattere nazionale che mirava a eliminare diseguaglianze territoriali già esistenti.

Questi pilastri sono ancora in piedi dopo 47 anni? O sono preda di una deriva che somiglia all’impercettibile scivolamento dei ghiacciai? Il calabrone che continua testardamente a volare malgrado le leggi della fisica gli neghino la possibilità, metafora del Ssn di Franco Taroni, continuerà il suo volo in un futuro più o meno prossimo? O il Ssn è destinato a vivere di rendita sui successi del passato?

Il carattere nazionale è ormai frammentato in 21 pezzi, caratterizzati da assetti organizzativi e indicatori di salute molto diversi, con differenze profonde nella capacità di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza che declinano il diritto alla cura secondo il Cap.

La gratuità è vanificata dalle liste di attesa. Chi può paga, gli altri aspettano o rinunciano alle cure con punte fino a 6 milioni di cittadini. La spesa delle famiglie è cresciuta del 43% in 6 anni fino a raggiungere i 43 mld nel 2023. Ormai l’85,9% degli italiani spende di tasca propria per visite e farmaci mentre la spesa sanitaria totale cresce in valore nominale ma cala in termini reali, rispetto al Pil inchiodata all’ultimo posto tra i Paesi del G7, con un distacco abissale nella spesa pro-capite. Insufficiente comunque, al di là del trionfalismo governativo, a fare fronte a necessità crescenti, a detta anche della Corte dei conti. La sanità italiana ormai non è più solo pubblica fornendo in gestione diretta solo il 63% dei servizi richiesti mentre acquista dal privato accreditato il restante 37%. E le strutture private sono la maggioranza di quelle che erogano assistenza residenziale (84%), semiresidenziale (71,3%) e riabilitativa (78,2%).

In quanto all’universalismo, cresce il carattere selettivo. “All’universalismo delle cure ormai credono in pochi: l’89,7% è convinto che le persone benestanti abbiano la possibilità di curarsi prima e meglio di quelle meno abbienti. Il 79,1% teme, in caso di malattia, di non potere accedere a cure tempestive e appropriate mentre il 30% ha già forti difficoltà a sostenere di tasca propria le spese mediche ed il 17% si attrezza con polizze integrative con una spesa di 3,4 mld” (Censis, 2024).

La salute è balzata al primo posto delle preoccupazioni dei cittadini, ma se le indagini di opinione dimostrano che gli italiani condividono i princìpi fondamentali del Ssn, e ne apprezzano i successi, meno della metà si dichiara soddisfatta del suo funzionamento.

La crisi del Ssn è riconducibile a carenza, oltre che di una merce preziosa quanto a basso costo come la volontà politica, di risorse, economiche e umane, ma anche di riforme che ne ripensino il modello. Pensato per un paese giovane in cui la maggior parte dei problemi di salute era rappresentata da malattie acute e il luogo quasi esclusivo per la loro cura era l’ospedale, oggi affronta un quadro epidemiologico dominato da invecchiamento e condizioni croniche che vedono il principale luogo di assistenza nella casa del paziente.

Mentre l’aumento dei costi rende ancora più importante il principio del finanziamento pubblico attraverso la fiscalità generale, l’80% dei cittadini versa meno del valore dei servizi che riceve e il 67% delle entrate fiscali pesa sul 17% della popolazione. I professionisti sono in uno stato di permacrisi che rende i livelli assistenziali “eventuali” più che essenziali, non esigibili, alimentando insieme forme di uberizzazione del lavoro ospedaliero e la grande fuga. Alla ricerca di un diverso equilibrio tra vita professionale e vita privata, di una flessibilità del tempo lavoro che allontani il burnout incombente, di modelli organizzativi che portino i medici, e non chi governa il sistema, a decidere sulle necessità del malato.

Se un sistema è sostenibile nella misura in cui la Politica vuole che lo sia, è necessario ripensare le politiche allocative del Paese e definire una gerarchia delle priorità. In un Servizio Sanitario non più nazionale ma di fatto regionale, non più pubblico ma in stato di strisciante privatizzazione, si sta, invece, mettendo in pratica la formula di Noam Chomsky: definanziare, creare malcontento e aspettare che gli stessi cittadini chiedano di cambiare. Una strada che, però, non è lecito imboccare surrettiziamente. Se le forze politiche non sono capaci di fare altro, procedano pure in questo senso. Ma abbiano il coraggio di dirlo ai cittadini quando chiedono il loro voto. Se il volo del calabrone si interrompe “pagheremo tutto con gli interessi: in disuguaglianze, malattia, perdita di futuro e impoverimento” (Nino Cartabellotta).

Perché se salta il Ssn salta l’equilibrio sociale ed economico del Paese. La partita per provare a garantire insieme il diritto alla cura ed il diritto a curare è in corso. Non siamo ancora al fischio di chiusura.

Costantino Troise

Responsabile Centro Studi e Formazione Anaao Assomed