Manutenzione o riforma? Di cosa ha bisogno il nostro Ssn? Anaao al Forum di Arezzo

Bisogna partire dalla revisione del modello organizzativo sia del Ssn che della professione

25 Novembre 2025

Sintesi dell'intervento del Segretario Nazionale Anaao Assomed Pierino Di Silverio 

"Parto da ciò che abbiamo osservato: un incremento graduale degli investimenti in sanità e, allo stesso tempo, un gap tra quanto si mette e quanto sarebbe realmente necessario, con un conseguente aumento del deficit regionale. È come avere un contenitore bucato: immettiamo risorse, ma queste continuano a disperdersi. Forse il problema è proprio il contenitore. Il contenitore è il modello organizzativo del Servizio Sanitario Nazionale, ma anche il modello organizzativo professionale.

La legge 502 afferma principi di universalità e uguaglianza delle cure, che però vengono calati in un sistema aziendalistico basato inevitabilmente su un fattore economico. A lungo termine era inevitabile che questo creasse problemi, perché il servizio di cura per lo Stato è un costo diretto. Anche se, ricordiamolo, ogni euro speso in sanità genera un guadagno indiretto stimato tra i 3 e i 14 euro.

Se in questa catena di investimenti subentra il vincolo dell’equilibrio di bilancio, si entra inevitabilmente in difficoltà. Trent’anni fa i farmaci costavano meno, molte malattie oggi croniche erano mortali, i ricoveri avevano costi inferiori. Se i costi aumentano e continuiamo a ragionare con parametri di vent’anni fa, il sistema crolla. Serve cambiare modello: il modello di governance ha chiare limitazioni. Probabilmente quel tipo di aziendalizzazione oggi necessita di una profonda revisione, a partire dal concetto stesso di cura.

Trent’anni fa si ragionava sulla cura del sintomo; oggi dobbiamo ragionare, in maniera più decisa, sulla prevenzione. La prevenzione permette un risparmio fino a 15 euro per ogni euro investito. Eppure oggi investiamo in prevenzione solo il 4%. Per ogni cittadino in Italia vengono spesi 192 euro per la prevenzione, contro una media europea che oscilla tra 350 e 500 euro. Prevenzione significa meno persone che si ammalano e quindi meno costi per il sistema, se vogliamo mantenere un approccio economicistico. Ma il concetto di prevenzione manca sia nella cultura di chi governa sia in quella dei cittadini, come dimostra l’aderenza agli screening, spesso non elevata, soprattutto in alcune regioni.

Questo tema si collega alla necessità di una riforma strutturale dell’organizzazione della presa in carico del paziente, che non può più avvenire solo in ospedale. Il paziente va seguito al proprio domicilio e dovrebbe arrivare in ospedale per essere curato: questa è la funzione dell’ospedale. Esistono diversi presidi ospedalieri che funzionano poco, funzionano male e hanno carenze infrastrutturali, tecnologiche e di personale. La domanda è: perché quei presidi, che costano, continuano a essere ospedali? Non dovrebbero essere riconvertiti? Su questo la politica dovrebbe fare un passo indietro: quei voti ottenuti mantenendo aperti presidi a 5 km da casa andrebbero sacrificati in nome della sostenibilità del sistema.

Arriviamo così alla medicina del territorio e ai distretti, che oggi sono totalmente destrutturati. Ancora non è chiaro chi lavorerà negli ospedali di comunità e nelle case di comunità. Abbiamo poi un contratto di lavoro che rappresenta una sfida enorme: è il peggiore dei rompicapo. Ci siamo avvitati in percorsi di carriera pensati per gratificare un po’ tutti, perdendo di vista la funzionalità del sistema.

Il medico, inoltre, è soggetto alle stesse regole di ogni dipendente della pubblica amministrazione. Mi spiegate come possiamo rendere appetibile questa professione? È impossibile. Dobbiamo cambiare anche il modello contrattuale. Prima si parlava di intramoenia: spesso è solo una percezione psicologica residuale. I medici percepiscono il 30% del costo della visita, le agende sono decise dalle aziende, e l’intramoenia rappresenta di fatto un valore aggiunto

Abbiamo il progresso tecnologico e l’intelligenza artificiale: perché non la utilizziamo per sburocratizzare il lavoro? Perché non sfruttiamo strumenti che esistono e che potrebbero liberare tempo clinico?

Tutto parte dalla capacità – e dalla volontà – dei legislatori di rimettere in discussione l’impianto complessivo".