La stretta sulla LPI è inutile e vigliacca: vanno rimosse le vere cause delle liste d’attesa - QUOTIDIANO SANITÀ
L'Anaao boccia l'emendamento al ddl prestazioni sanitarie di Fratelli d’Italia contro la LPI. E spiega perchè.
15 Luglio 2025
Pierino Di Silverio
Segretario Nazionale Anaao Assomed
Non sembra arrestarsi la tempesta che investe ormai da mesi ormai l’Alpi, alimentando la leggenda metropolitana secondo cui le liste di attesa siano incrementate, favorite o addirittura secondo alcuni foraggiate dall’attività libero professionale del medico.
E come se non bastasse ora spunta anche la stretta di esponenti di Fratelli d’Italia con un emendamento al ddl prestazioni sanitarie all’esame della Camera.
Alle considerazioni demagogiche e populiste, rispondiamo con una analisi seria, documentata e obiettiva sulla reale portata del ‘fenomeno’ a partire dal funzionamento e dai dati dell’Alpi e prendendo le distanze da teorie infondate che mistificano la realtà.
COME FUNZIONA OGGI L’ALPI
Va premesso che la materia è regolata da leggi nazionali, dal Contratto di lavoro, da regolamenti regionali e regolamenti Aziendali, con minime differenze fra loro.
Fatta questa premessa, il primo passaggio che deve compiere il professionista nel caso intenda svolgere la libera professione (LP) in Azienda è quello di chiederne l’autorizzazione al Direttore Generale.
Gli spazi e le apparecchiature di proprietà dell’azienda vengono messe a disposizione per la LP in una percentuale che oscilla tra il 10 e il 20% del totale degli spazi, delle apparecchiature e dei posti letto a disposizione.
In parole semplici l’attività ordinaria del medico non viene sostituita da quella privata anche perché il professionista eroga le prestazioni in libera professione solo dopo il suo orario di lavoro e solo dopo aver svolto le attività in ordinario.
Il motivo per cui i tempi di attesa sono diversi è semplicemente dovuto al numero di prestazioni.
Infatti per molte visite soprattutto in alcune branche anche prenotare la visita nel privato ha tempi di attesa molto lunghi.
Peraltro ricordiamo che esite il dlgs 124/1998 che prevede che, se un cittadino non può ottenere una visita o prestazione sanitaria nel pubblico entro i tempi previsti dalla legge, possa usufruire della stessa nel settore privato, con i costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Sarebbe quindi più funzionale concentrarsi sull’applicabilità di questa legge piuttosto che sulla ricerca di colpevoli.
Una volta si parlava di “spazi separati e distinti” come sede dell’attività LP, ma oggi di fatto non è più possibile. In coda va anche la quantità di ore disponibili e autorizzate, oltre le quali non si può andare, pena azioni disciplinari, fino al licenziamento, da parte dell’Azienda. Tutto questo viene rilevato dai sistemi di timbratura di ogni Azienda e svolto oltre l’orario istituzionale.
I COSTI DELL’ALPI
Gli spazi, le apparecchiature, il materiale di consumo, il personale di supporto infermieristico e amministrativo, sono tutti detratti dalla tariffa, che è la quota che versa il cittadino alla cassa dell’ospedale per la prestazione LP: in genere è circa il 25% del totale. A questo si aggiunge una detrazione del 5% per il fondo di perequazione, cioè la quota destinata a chi non può svolgere LP e un ulteriore 5%, guarda caso, da utilizzare per l’abbattimento delle liste d’attesa.
Su ciò che resta, il professionista paga IRPEF ed ENPAM. Da questi calcoli si può facilmente dedurre l’importo netto che va al professionista.
Occorre segnalare (fonte: Relazione 2023 del Ministero della salute al Parlamento), che su un totale d’incasso da parte delle Aziende in Italia di circa un miliardo e 300 milioni di euro, restano nelle casse delle Aziende stesse circa 200 milioni.
Questa spesa totale per l’ALPI rappresenta per il cittadino italiano tra il 2 e 3% di quanto spende, “out of pocket”, per curarsi con i soldi propri.
Peccato che si demonizzi l’ALPI, che alla fine fa rientrare una quota anche nelle Aziende Pubbliche, e si guardi poco al privato “profit”.
I RICAVI
I ricavi dell’attività intramuraria (fonte: Ministero salute 2023) sono in costante diminuzione dal 2010 registrando 1,087 miliardi nel 2021, 1268 milioni nel 2023 corrispondenti a una spesa pro-capite, calcolata sulla popolazione residente, di 21 €/anno per il 2010 e di 18,4 nel 2021.
Qualcuno dovrebbe spiegare su quali dati poggia l’assunto secondo cui il prolungamento dei tempi di attesa, che attualmente si misurano in anni, favorisca l’incremento dell’attività libero professionale intramoenia, assunto contraddetto anche dal trend in discesa del numero di medici che la esercitano, arrivato nel 2023 al 38,6% del totale.
Eppure stiamo parlando di un settore che in tutta evidenza rappresenta un valore aggiunto per le aziende sanitarie. Queste, infatti, traggono dalla LPI una apprezzabile fonte di finanziamento in un’epoca di vacche magre. La quota incassata dalle aziende è passata da 164 milioni di € nel 2010 a 235 milioni nel 2021 (+ 43%). Sulla quota rimanente, 852 milioni di €, versata dalle aziende ai professionisti con ritardi che spesso superano i 6 mesi, lo Stato incassa per la tassazione Irpef circa 366 milioni di € e altri 50 milioni sono devoluti a progetti di riduzione delle liste di attesa. In sintesi, questo canale di entrate alimenta i flussi di cassa aziendali con denaro fresco, contribuisce all’ammortamento degli investimenti effettuati attraverso un maggiore utilizzo delle strutture e delle tecnologie, anche con orari prolungati serali, determina possibili utili aziendali e rappresenta una attività a imposizione fiscale certa. Ci si aspetterebbe una agevolazione della LPI attraverso processi di sburocratizzazione, di riduzione dei costi generali e vantaggi fiscali come la flat tax concessa ai privati. Così non è, e così non sarà.
Quindi la ventilata stretta alle liste di attesa per ridurre spazi e tempi per l’ALPI, influirà negativamente non sulle tasche dei professionisti già vessati per oltre il 50% degli emolumenti (per ogni visita il professionista incassa circa 30€ su 100€ che costa al paziente), ma sulle casse delle aziende.
ALPI E LISTE DI ATTESA
Quanto alla vexata questio del presunto rapporto negativo tra LPI e liste di attese, precisiamo che i ricoveri in regime di libera professione rappresentano lo 0,30% di tutti i ricoveri in strutture pubbliche nel periodo 2020-2022.
Per quante elucubrazioni si possano fare, non si capisce come un numero così residuale possa influenzare e determinare le pesanti attese nel nostro sistema sanitario, ad esempio in tutta la chirurgia di bassa complessità o per l’impianto di protesi in campo ortopedico.
Sul versante delle attività ambulatoriali, il rapporto tra regime libero professionale e istituzionale è del 7,3 % con oltre 57 milioni di prestazioni in regime istituzionale a fronte di circa 4,2 milioni in libera professione per le 34 tipologie oggetto di monitoraggio, tra visite e indagini diagnostiche. La visita LPI più richiesta è quella cardiologica con 541.820 prestazioni. Seguono la visita ginecologica (463.667), la visita ortopedica (397.709) e quella oculistica (300.916). Se consideriamo il rapporto attività istituzionale/Alpi per le singole visite o prestazioni diagnostiche in vetta troviamo l’ecografia ginecologica (40%) e la visita ginecologica (30%) e anche in questo caso è la scelta della donna per un professionista di fiducia che porta a preferire il regime libero professionale con percentuali superiori alla media.
I dati illustrati basterebbero a confutare tutte le illazioni sull’ALPI e ci saremmo peraltro attesi che questi dati fossero studiati e analizzati prima di continuare ad alimentare il clima di sfiducia del cittadino verso i medici e gli ospedali. Tali numeri dimostrano ancora una volta come l’attività istituzionale sia ampiamente prevalente su quella libero-professionale con rapporti lontani anni luce dai limiti massimi (LPI =100% dei volumi prestazionali istituzionali di équipe) indicati dalle leggi e dai contratti.
La LPI, piuttosto, contribuisce a contenere il fenomeno delle liste d'attesa permettendo l'accesso a un canale sostenuto dal lavoro aggiuntivo dei professionisti, spesso a costi calmierati e a imposizione fiscale certa. Non solo, la LPI rappresenta per le aziende sanitarie una delle possibilità per acquisire con il proprio personale prestazioni aggiuntive a quelle istituzionali, anche in regime di ricovero, intercettando e introitando denaro che altrimenti andrebbe ad alimentare il settore privato e offrendo agli utenti la possibilità di accedere a prestazioni diagnostiche e terapeutiche sicure e di qualità, poiché garantite dal SSN.
CONCLUSIONI
La negazione del diritto dei cittadini di accedere alle prestazioni sanitarie nel pubblico nei tempi dovuti rende necessario impegnarsi per rimuovere i fattori che determinano le attese e non per spingere per l’abolizione della LPI.
Rimaniamo convinti che i determinanti maggiori dei tempi d’attesa vadano ricercati nel pesante sotto finanziamento del SSN, nella carenza di organici che produce, nei ritardi del sistema di organizzazione ed erogazione delle prestazioni in regime istituzionale nonchè nei cambiamenti demografici, epidemiologici, tecnologici e sociologici dei nostri tempi che spingono la domanda di prestazioni sanitarie probabilmente oltre le reali possibilità di un sistema cosi organizzato.
Ricercare capri espiatori nei medici e nei dirigenti sanitari per nascondere il fallimento di ben due decreti anti liste d’attesa che promettevano di risolvere il mancato accesso alle cure di milioni di cittadini, ci appare offensivo verso tutta la categoria, soprattutto in un momento che vorremmo ricordare è tra i peggiori in termini di affezione al Ssn (7 camici bianchi ogni giorno decidono di dimettersi dagli ospedali).
Le liste di attesa non sono un problema piuttosto rappresentano l’effetto di definanziamenti decennali della sanità, di tagli lineari di posti letto, medici, dirigenti sanitari.
In un mondo in cui la richiesta di cure aumenta per fattori demografici, sociali, tecnologici e ambientali, rispondere con tagli delle prestazioni ha lo stesso effetto che rispondere con aumenti delle offerte non legati a contestuali aumenti di professionisti e strutture.
L’ALPI resta una delle ultime possibilità di scelta del paziente più che del medico a costi calmierati, trasparenti, con garanzia della sicurezza delle cure.
Non accettiamo ulteriori offese alla professione, alla nostra etica, al nostro lavoro. In una condizione drammatica del SSN continuiamo a offrire gratuitamente più di 2 milioni di prestazioni gratuite al giorno, rinunciando a ferie, incentivi, tempo personale.
Non abbiamo bisogno di ringraziamenti di facciata, pretendiamo rispetto, e se cosi non sarà accompagneremo le migliaia di colleghi che già oggi decidono di andarsene dagli ospedali alla semplice ricerca di un equilibrio che ormai non abbiamo più.
Chiediamo piuttosto che si adeguino gli stipendi al resto d’Europa, che si agisca subito sulla de-imputazione del medico, che si rinnovi il contratto di lavoro già scaduto, che si introduca una vera flessibilità del lavoro, che si ragioni su come governare l’IA, che si parli di modelli organizzativi, di prevenzione, di presa in carico del paziente, che si parli dei professionisti e di come trattenerli nel nostro amato SSN.
Chiediamo che vengano convocati gli Stati generali della sanità per dar vita a un vero piano Marshal. Queste sono le priorità, non la ricerca continua di capri espiatori che possa far esultare chi solo per demagogia vuole trovare un colpevole a tutti i costi.
Invitiamo il Governo ad abbandonare intenti populisti sulla salute dei cittadini perché la sanità non può essere argomento da perenne campagna elettorale dal momento che riguarda tutti, anche chi governa.
È sempre più incalzante l’esigenza di fare quadrato attorno a un valore sociale, costituzionale che oggi più che mai è messo in discussione: la sanità pubblica.