Piano nazionale liste d'attesa: per l'Anaao è la fiera dell'ipocrisia.
Regioni e Governo si autoassolvono dalla responsabilità delle attese indicando nei medici dipendenti il capro espiatorio ideale. Dopo avere messo in naftalina il rinnovo del CCNL, Governo e Regioni sferrano un altro attacco a medici e dirigenti sanitari dipendenti. Nessuno si illuda che noi rinunciamo a difendere un diritto dei medici e dei cittadini.
21 Febbraio 2019
21 febbraio 2019
Il (nuovo?) Piano Nazionale liste di attesa che oggi è all’esame della conferenza stato Regioni rappresenta un festival dell’ipocrisia, commenta Carlo Palermo, Segretario Nazionale Anaao Assomed.
“Regioni e Governo si autoassolvono dalla responsabilità politica e gestionale del mantenimento e dell’allungamento delle attese, sempre più lunghe, per le prestazioni sanitarie indicando, di comune accordo, nei medici dipendenti il capro espiatorio ideale e nella loro attività libero professionale intramoenia la causa da rimuovere nel caso, non improbabile, che non si rispetti il piano delle illusioni che hanno stilato, pretendendo di definire il fabbisogno di prestazioni a prescindere dalle risorse disponibili”.
“Insofferenti delle proteste dei cittadini, Governo e Regioni si auto-prescrivono la terapia miracolosa del blocco (sine die?) della attività libero professionale dei medici dipendenti in caso di sforamento (di quanto?) dei tempi di attesa massimi che hanno individuato. Contraddicendo se stessi, prevedono percorsi di tutela con il ricorso, in caso di mancato rispetto della tempistica , ad erogatori privati mentre bloccano, con la stessa motivazione, la attività libero professionale dei medici pubblici”.
Perchè, si sa, - prosegue Palermo - sono i medici pubblici a creare e mantenere le liste di attesa, per il proprio tornaconto. Non la carenza ormai strutturale di personale, che ha svuotato le corsie di 100000 medici negli ultimi 5 anni, non il taglio lineare di posti letto, che tra i 70000 evaporati ha fatto scomparire in primis quelli per i ricoveri in elezione, non il mancato acquisto di dispositivi medici per la attività chirurgica, fino alla chiusura programmata di interi reparti a fine anno, non la vetustà delle macchine diagnostiche che le tiene a lungo ferme per frequenti riparazioni.
In questo modo le Regioni sottraggono alle loro asfittiche casse introiti pari a 1 miliardo e mezzo negli ultimi 5 anni ed ammettono il proprio fallimento organizzativo, cattivo viatico per una crescita delle autonomie. Il governo viola il suo contratto di nascita che al capitolo sanità indica la soluzione al problema in un piano assunzioni, di cui non c’è traccia in alcuno dei provvedimenti assunti. San contratto vale, evidentemente, per la Tav e le autonomie, non per le attese dei cittadini, cui si preferisce additare colpevoli piuttosto che soluzioni. Lo stesso finanziamento della legge di bilancio si rivelerà illusorio perchè destinato a soggetti che, notoriamente, non eseguono prestazioni”.
“Si tradisce così – conclude Palermo - il senso e lo spirito del patto che i medici avevano siglato con lo stato attraverso la L.229/99, spingendoli ad uscire dagli ospedali per recuperare autonomia professionale e reddito. Dopo avere messo in naftalina il rinnovo del CCNL, Governo e Regioni sferrano un altro attacco a medici e dirigenti sanitari dipendenti. Un film già visto. Non c’era proprio bisogno del governo del cambiamento per riproiettarlo.
Nessuno si illuda, però, che noi rinunciamo a difendere un diritto dei medici e dei cittadini”.