NOMINE DG: cambiare qualcosa affinché tutto rimanga uguale - Comunicato stampa Anaao Assomed e la rassegna
La malattia principale del nostro SSN si chiama governance e cioè l’invadenza pervasiva della politica nella sfera gestionale della sanità che ha prodotto un ramificarsi di interessi clientelari che ha oscurato il riconoscimento del merito e delle competenze. Ed uno stato di inquietante solitudine e fragilità dei direttori generali verso il potere politico che continua a sceglierli e valutarli con totale discrezionalità”. A questa malattia, però, non porrà rimedio l’innalzamento dell’asticella dei titoli e dei criteri di valutazione o l’istituzione di un albo nazionale, come approvato dal CdM.
27 Marzo 2017
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27 marzo 2017
“Sarà anche vero, come dice la Ministra Lorenzin, che "Il problema principale del Ssn è di natura organizzativa e gestionale”, ma diversi osservatori, noi compresi, ritengono che la malattia principale del nostro SSN si chiami governance. Vale a dire l’invadenza pervasiva della politica nella sfera gestionale della sanità che ha prodotto un ramificarsi di interessi clientelari e spartitori nei confronti del “middle management” tecnico professionale fino ad oscurare il riconoscimento del merito e delle competenze. Ed uno stato di inquietante solitudine e fragilità dei direttori generali verso il potere politico che continua a sceglierli e valutarli con totale discrezionalità”.
Questo il commento del Segretario Nazionale Anaao Assomed allo schema di Dlgs sulla nomina dei direttori generali, sanitari e amministrativi approvato dal Consiglio dei Ministri.
A questa malattia, però, continua Troise, non porrà rimedio l’innalzamento dell’asticella dei titoli e dei criteri di valutazione o l’istituzione di un albo nazionale, come approvato dal CdM. Albo, tra l’altro, la cui composizione non appare priva di criticità, a partire dalle caratteristiche degli esperti (quali e quanti?) chiamati a predisporlo e dal loro livello che si vuole “altissimo”, magari pensando ad Harvard ma finendo più prosaicamente tra le università pubbliche e private di Roma. Mentre dai criteri di valutazione continuano a rimanere esclusi l’osservanza dei contratti di lavoro, termine desueto ma non ancora cancellato, e delle leggi dello Stato, e non solo della Regione-Stato.
Il cambiamento, vero quanto necessario, passa per la restituzione di valore alle professioni ed al loro lavoro che regge la sanità pubblica, sebbene ridotto a banale fattore produttivo, merce da vendere in cambio di un salario. E di ruolo decisionale ai medici ed ai dirigenti sanitari, oggi marginalizzati a vantaggio di una cultura aziendalista che tutto riduce a controllo dei costi ed è fattore non secondario della grande fuga dagli ospedali.
Se si vuole raggiungere l’obiettivo di “promuovere, mantenere e recuperare la salute fisica e psichica della popolazione”, non si può eludere il nodo della valorizzazione dei saperi e delle competenze professionali. La loro centralità costituisce una premessa non trattabile di qualsiasi processo di riforma in ambito sanitario. A meno di non ridurre l’annuncio di una rivoluzione ad una operazione di marketing politico.