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25/07/2025

Si riapre la corsa all’autonomia differenziata: giù le mani dai professionisti - Quotidiano Sanità

Responsive image Legiferare in autonomia sulle professioni significherebbe introdurre gravi squilibri in tema di retribuzioni e condizioni di lavoro in favore delle regioni economicamente 'forti'.

di Pierino Di Silverio
Segretario Nazionale Anaao Assomed

 

Le ultime dichiarazioni del Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Roberto Calderoli, che riapre la corsa all’autonomia differenziata, ci preoccupano non poco.

Da tempo abbiamo denunciato che il disegno dell’autonomia differenziata nasconde pericoli che non appartengono solo alla mancanza di risorse per definire i livelli essenziali delle prestazioni socio sanitarie (LEPs, ovvero i servizi da assicurare in forma gratuita e con modalità omogenee su tutto il territorio nazionale), ma anche, se non soprattutto, alle materie e funzioni che non richiedono la preliminare definizione degli stessi. Tra le quali spicca il tema “professioni”, di rilievo soprattutto in ambito sanitario.

Ecco che, ad avvalorare il vecchio detto secondo il quale ‘a pensar male si fa peccato ma molte volte ci si azzecca’, il Ministro interviene per rassicurare 4 Regioni che richiedono di poter autonomamente legiferare sulle professioni sanitarie. Non certo sull’ordinamento, tutelato dalla Costituzione, ma di certo sulle retribuzioni e sulle condizioni di lavoro, rischiando di produrre differenze nell’ambito della stessa professione basate sulla sola sede di lavoro. Per intenderci, un medico o un dirigente sanitario che lavora in Lombardia potrebbe guadagnare di più rispetto a un medico che lavora in Campania per il solo fatto di avere una sede di lavoro ubicata in una regione economicamente “forte”, a dispetto dei tempi e dei modi con cui svolge la propria attività professionale.

Per questa via si mette una pietra tombale su contratti e convenzioni nazionali aprendo la strada, in forma trasparente o surrogata, all’invadenza della legislazione regionale.

L’Italia spezzata è lo scenario prossimo venturo della sanità pubblica italiana. Nel quale si perde il diritto dei cittadini all’eguaglianza di fronte alle malattie e quello dei professionisti a retribuzioni rispettose della gravosità e complessità del loro lavoro, nonché del livello di competenza raggiunto, a dispetto del luogo di esercizio della professione.

Nasce una concorrenza selvaggia nell’acquisizione delle risorse umane, innestata dalla possibilità di pagarle al di fuori dei vincoli contrattuali e di regolamentare in maniera autonoma le condizioni del loro lavoro, compresa la vituperata attività libero-professionale. Un mercato competitivo per l’ingaggio dei professionisti sanitari, nutrito dal dumping salariale e dalle politiche regionali, con una loro mobilità parallela a quella dei malati lungo lo stesso gradiente Sud-Nord. Con inevitabili ripercussioni sulla tutela della salute dei cittadini, che avranno a disposizione differenti possibilità di assistenza e accesso alle cure. Chi risiede in Regioni “forti”, anche per le dotazioni organiche, si curerà, agli altri tocca aspettare in liste di attesa che ormai si misurano in anni, con forti rischi per l’integrazione sociale e la stessa unità del Paese

Il diritto alla salute, l’unico che la Costituzione definisce “fondamentale”, uno e indivisibile, cessa, così, di avere una valenza nazionale per assumerne una locale che ne diventa la fonte, con la prospettiva di accentuare le differenze fino a trasformarle in divaricazioni. Le palesi ambiguità della legislazione concorrente hanno già decretato il fallimento del federalismo in sanità, ora in cerca di rivincita nella nuova versione “a geometria variabile”. Per questa strada, però, si va alla creazione di più sistemi sanitari, a diversa efficacia e sicurezza, sia per chi eroga le cure che per chi le riceve, fino al venir meno del concetto stesso di Servizio sanitario nazionale e di politica sanitaria nazionale.

L’unitarietà del SSN, pur in un contesto regionalista, esige la presenza di alcuni fili verticali tra i quali lo stato giuridico del personale, i requisiti di accreditamento di strutture e professionisti, l’individuazione di livelli essenziali organizzativi omogenei, gli accordi contrattuali e convenzionali. La perseveranza di Calderoli a bypassare il recente pronunciamento della Corte Costituzionale mette a rischio “quel presidio insostituibile di unità del Paese rappresentato dal Ssn”, come definito dal Presidente Mattarella.

Le Regioni che chiedono l’autonomia vogliono portarsi a casa non solo risorse economiche ma pezzi di politiche pubbliche sulle quali esercitare poteri, decisioni, facoltà di cambiare modelli organizzativi. Dopotutto, chi gestisce la cosa pubblica è interessato non solo al quantum di spese da allocare, ma anche a come e a chi distribuire quel quantum, poco o grande che sia. Senza curarsi del siluro sparato contro quello che resta della sanità pubblica.

Noi continueremo la nostra battaglia, in ogni sede e in ogni modo, convinti che il diritto a curare come quello alla cura non possono essere declinati in 21 modi differenti se si vuole rispettare l’articolo 32 della Costituzione.

L'articolo su Quotidianosanità.it

 

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