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È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il tanto discusso decreto anti liste di attesa che dovrà essere convertito in legge entro l’8 agosto.
Un decreto che prometteva la risoluzione di un problema annoso e multifattoriale, un decreto snellito con il tempo da quasi tutti i provvedimenti di carattere economico.
Rispetto alle richieste che, con forza, abbiamo avanzato, ci appare un decreto con luci e ombre.
Iniziamo dalle norme che hanno risposto, seppur parzialmente, alle nostre richieste:
Le buone notizie potrebbero fermarsi qui, ma dobbiamo aggiungere, a nostro merito, anche di avere evitato, a partita chiusa, la beffa di scaricare sul nostro salario accessorio (per intenderci straordinari, guardie etc.) gli oneri della defiscalizzazione attraverso l’abolizione del Decreto Calabria, norma inizialmente prevista e poi cassata grazie al nostro intervento.
Il superamento del ventennale tetto di spesa per il personale, annunciato con grandi squilli di tromba a decorrere dal 2025, è soggetto a una metodica farraginosa, che rende incerti tempi e risultati, condizionato com’è dalla congruità dei fondi delle Regioni, di cui 9 nemmeno riescono a garantire i LEA e 1 è commissariata da tempo immemorabile.
Il DL assume i tempi di attesa come variabile indipendente rispetto alle risorse e al numero dei professionisti chiamati ad assicurare la cura e non solo la prestazione, lasciando credere che la semplice apertura degli ambulatori il sabato e la domenica basti a convincere il medico che già lavora più di 60 ore settimanali, dal lunedì al venerdì, a lavorare ancora. Senza contare che, alla faccia dell’urgenza, richiede 7 decreti attuativi per potere dispiegare i suoi effetti.
Per l’ennesima volta, infine, si cede alla facile demagogia dell’attacco alla libera professione intramoenia dei medici dipendenti, comodo capro espiatorio, alibi per le inefficienze organizzative e la scarsità di risorse cui nemmeno questa volta si riesce a rimediare, ignorando anche che i suoi introiti hanno dato all’abbattimento delle liste di attesa in 10 anni quanto il Governo ha stanziato con la legge di bilancio 2024.
Colpisce anche l’ossessione, quasi poliziesca, dei controlli per i quali viene assunto personale con “funzioni di polizia giudiziaria”, inserito in una macchina burocratica con tecnologia avanzata, dai costi certi e benefici incerti, che scarica tutte le responsabilità dell’assenza di risultati sugli ospedali, sui professionisti, sulle direzioni aziendali.
Il decreto legge per la riduzione dei tempi delle liste d’attesa è affiancato da un disegno di legge anch’esso approvato dal Governo ma con tempi parlamentari più lunghi, che permette anche di stipulare contratti di tipo co.co.co. per il recupero di prestazioni, facendo entrare così dalla finestra ciò che era uscito dalla porta ovvero l’eliminazione delle cooperative e del lavoro a cottimo che il ministro Schillaci due anni fa aveva di fatto vietato con un decreto ad hoc.
E continua a erogare risorse al privato accreditato che si aggiungono ai 980 milioni, in tre anni, concessi dalla legge di bilancio 2024.
Servono, quindi, correzioni per garantire certezza dei tempi e risorse appropriate alla riduzione delle liste di attesa, serve un cambio di rotta reale e non solo demagogico, perché i professionisti che operano nella sanità pubblica, continuando a garantire, nonostante tutto, l’esigibilità del diritto costituzionale alla salute, vanno gratificati, non aggrediti o additati al pubblico ludibrio. Anche per il bene dello stesso Servizio Sanitario Nazionale e dei cittadini che vi si rivolgono.
Se il Ministro della salute Orazio Schillaci ritiene “prioritario investire sul personale per rendere la sanità pubblica più attrattiva”, occorre un colpo d’ala della politica, abbandonando giaculatorie e promesse. Se non vogliamo trasformare la sanità nel punto di rottura dello Stato sociale.
Noi vigileremo durante l’iter di conversione per evitare colpi di coda e per eliminare gli aspetti più negativi.
Pierino Di Silverio
Segretario Nazionale Anaao Assomed