VAI AL SITO
«È indispensabile salvaguardare la professione sotto attacco continuo se non vogliamo privare il SSN della sua linfa vitale». A Roma gli Stati generali della formazione medica e sanitaria, il 31 maggio e 1 giugno
di Pierino Di Silverio, Segretario Nazionale Anaao Assomed
Gentile Direttore, in questi ultimi giorni molto è stato scritto sulla formazione dei medici e sul decreto Calabria (Dlgs 145/2018). La formazione medica è divenuto un argomento all’ordine del giorno, anche della politica. E questo è un dato certamente positivo. Ma occorre fare un po’ di chiarezza in merito. Tra le accuse avanzate al decreto Calabria, la più frequente riguarda la possibilità per il medico in formazione di completare il proprio percorso in ospedale, ritenuto di qualità inferiore a quello effettuato nelle Università.
Alcune osservazioni in merito sono dovute:
1. Secondo un report dell’Osservatorio nazionale delle scuole di specializzazione (quindi di parte istituzionale), una scuola di specializzazione su quattro rischia la chiusura perché non in possesso dei requisiti minimi di accreditamento previsti dal Dm 402/2017. Insomma, un po’ come dire che il docente non ha la laurea. Ma di questo nessuno si occupa.
2. I lettori e gli studiosi più attenti (a quanto pare pochi) avranno sicuramente notato che il decreto Calabria non prevede la possibilità tout court di proseguire il percorso formativo ovunque. Le strutture che non fossero inserite in una rete formativa dovrebbero comunque predisporre, in accordo con l’università, un programma tale da assicurare allo specializzando il raggiungimento degli skills previsti dalla legge per il conseguimento del titolo.
3. Sempre per i lettori più attenti ricordiamo che ogni anno il medico in formazione deve essere in possesso di una certificazione del raggiungimento degli obiettivi previsti dal Dmi 402/2017, e non essere esaminato come se fosse uno studente universitario.
4. L’attività didattica è una prerogativa del personale SSN riconosciuta dalla legge (Art. 6, comma 2, Dlgs 502/1992) ancorché non regolamentata, riconosciuta e soprattutto retribuita. Anche la riforma ospedaliera del 1968 affermava che «gli ospedali contribuiscono alla formazione professionale del personale sanitario e tecnico», posizione ripresa dalla Legge 833 istitutiva del SSN.
Ci preoccupa, invece, il silenzio su problematiche reali. Oggi, una struttura ospedaliera per essere riconosciuta idonea a erogare formazione deve rientrare in un elenco che i ministeri competenti pubblicano annualmente. Il possesso dei requisiti di accreditamento previsti da legge non è, però, sufficiente perché è richiesta, comunque, una convenzione con l’università per rientrare nell’elenco. In soldoni, se un reparto di cardiologia tra i più rinomati, in possesso dei requisiti di legge, non incontra, ad esempio, le «simpatie» del Direttore della relativa scuola di specializzazione non verrà mai annoverato tra le strutture accreditate. E questo in barba alla tanto millantata qualità formativa.
Passando poi alle modalità di passaggio di anno, esse devono basarsi sulla certificazione della acquisizione delle competenze previste dal Dm 402/2017 e non sul puro superamento di esami orali, come per gli studenti universitari. Allora, è giusto che i tutor ospedalieri non abbiano alcun tipo di gratificazione per il ruolo svolto nella acquisizione delle suddette competenze? Se per il personale universitario l’attività di ricerca, didattica ed assistenza è indissolubilmente legata, non si vede il perché non possa essere così anche per gli ospedalieri, sia pure in proporzioni diverse.
Infine, invece di strumentalizzare un decreto che ha liberato gli specializzandi dalle catene delle università sarebbe meglio rispondere alla criticità principale dei medici in formazione, vale a dire la assenza di un vero contratto di lavoro, che assicuri tutele e diritti restituendo dignità ad un ruolo professionale oggi assimilato a quello di studente. Peraltro retribuito con cifre ridicole, nemmeno adeguate alla inflazione che negli ultimi 15 anni ne ha ridotto il potere di acquisto del 34,2%, senza la possibilità di ammalarsi, di costruirsi un futuro, di richiedere un mutuo perché detentori di una semplice borsa di studio.
Occorre una profonda riforma della formazione medica post laurea che segni il passaggio dello specializzando dal ruolo di studente, a dispetto della laurea e della abilitazione, a quello di titolare di un vero rapporto di lavoro, a tempo determinato e a scopo formativo. E consideri nuovi luoghi della didattica medica ove la preparazione teorica sia immediatamente embricata nella attività pratica, con un rapporto docente-discente diretto e capillare e le funzioni tutoriali sul campo accompagnino e completino le conoscenze teoriche acquisite in aula.
Ciò presuppone una nuova organizzazione che riconosca il ruolo ed il valore del SSN nella formazione, insieme con l’Università, dei giovani specializzandi, lavoratori contrattualizzati e non più studenti. Il learning hospital è un modello presente in tutto il mondo. Solo in Italia esiste ancora una dicotomia tra università e ospedali che rende il percorso formativo farraginoso e di qualità sicuramente interiore a quella che potremmo erogare.
Avere dei buoni medici conviene ed è utile a tutti, anche chi oggi continua a manifestare una visione corporativa e miope della formazione, convinto che esista un solo luogo dedicato, detentore di un monopolio a priori, malgrado sia pervaso da logiche populistiche, clientelari e baronali che niente hanno a che vedere con la medicina e con la formazione. Noi saremo sempre al fianco dei medici, siano essi specializzandi che specialisti, perché è indispensabile salvaguardare la professione sotto attacco continuo se non vogliamo privare il SSN della sua linfa vitale, di quel capitale umano che oggi necessita di investimenti mirati fin dal suo nascere. Per questi motivi abbiamo convocato a Roma gli Stati generali della formazione medica e sanitaria il 31 maggio e 1 giugno 2024.