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Il percorso di studi in medicina e chirurgia oggi in Italia è lungo e farraginoso. Invece di allungarlo ulteriormente occorre renderlo più snello nei tempi e nelle modalità di accesso e valutazione. Non abbiamo bisogno di scimmiottare il modello di altri Paesi apparecchiando, tra l’altro, una serie di beffe a danno degli studenti e dei contribuenti. Per questo sosteniamo i giovani colleghi che oggi sono scesi in piazza contro la pletora medica
Il disegno di legge delega sulla modifica per l’accesso alla Facoltà di medicina e chirurgia prosegue il suo iter parlamentare al Senato. Di certo, se dovesse andare in porto, sarebbe una svolta epocale ma, per come è strutturato e al netto di eventuali e necessarie modifiche, la ratio non appare né efficace né efficiente per riformare un sistema formativo che, concordiamo tutti, necessita di una profonda revisione.
Partiamo dall’inizio.
Secondo il DDL delega il prossimo anno sarà abolito il vituperato e imbarazzante test di ingresso. Quindi, in nome di un diritto allo studio confuso, strumentalmente, con il diritto al libero accesso, circa 70.000 studenti, nella migliore delle ipotesi, avranno la possibilità di iscriversi liberamente alla Facoltà di medicina e chirurgia. Il che non vuol dire, però, che tutti avranno la possibilità di conseguire la Laurea.
Non potendo le 95 Facoltà di medicina sopperire a un tale aumento della domanda di aule e docenti con i 23 mln promessi, i corsi del primo semestre si terranno on line. E, per 6 mesi, 70000 studenti affronteranno per via telematica materie di studio che oggi richiedono laboratori, attività didattiche in piccoli gruppi, esercitazioni. Alla fine del semestre, i 70.000 studenti dovranno superare 4 esami per affrontare, in base ai crediti formativi ottenuti ed al voto ricevuto, una nuova selezione, sperando di collocarsi, in base anche al numero di risposte esatte, in una posizione utile nella graduatoria finale. Quindi, la strozzatura lamentata non è stata eliminata, come afferma la narrazione populistica, ma addirittura raddoppiata. Non senza criticità aggiuntive.
Qualcuno diceva che a pensar male si fa peccato ma a volte si indovina. Allora non sarà troppo soggettivo il voto di uno o più esami? E quanto tempo, e quanti docenti, saranno necessari per 280.000 esami e per la graduatoria finale? Al netto di ricorsi, ovviamente. Ma andiamo avanti.
Se i posti a disposizione saranno funzione, come annunciato, del fabbisogno di medici della sanità italiana, alcune decine di migliaia di studenti resteranno fuori. Certo, potranno iscriversi in altre discipline affini con il riconoscimento dei crediti formativi, ma chi decide di andare a lettere o filosofia avrà perso 6 mesi (nella migliore delle ipotesi) della propria vita formativa consumati, tra l’altro, in una feroce competizione.
Quanto all’annuncio trionfale del Ministro Bernini di 30.000 nuovi medici tra 7 anni, qualcuno le dica che il numero dei medici in Italia è già ai limiti alti della media europea e che, comunque, se la previsione si avverasse, occorrerà mettere in conto il raddoppio dei costi della formazione specialistica. A meno di non resuscitare l’imbuto formativo. Senza contare che nessuno di loro potrà lavorare subito per il Ssn ma dopo un ulteriore percorso formativo di 4-5 anni. Quando il picco di pensionamenti si sarà esaurito e i nuovi specialisti potranno scegliere tra il precariato sottopagato o l’emigrazione nei paesi europei o arabi. I contribuenti italiani saranno felici di pagare la sanità degli altri.
Tante ombre sono presenti nel ddl mettendo in secondo piano alcuni aspetti sui quali varrebbe la pena, invece, lavorare. Ad esempio, la collaborazione tra ordini professionali (finalmente riconosciuti nel proprio ruolo) e ministero per organizzare percorsi di orientamento negli ultimi tre anni di scuola secondaria di secondo grado o la valorizzazione dei tirocini e la programmazione di corsi di formazione.
Invece di copiare, alla faccia dell’identità nazionale, un modello sotto esame là dove è nato, appare preferibile agire in modo più semplice sull’attuale test con materie di studio preliminarmente definite, libri di testo unici, database di domande pubblico e accessibile a tutti, corsi di formazione organizzati dalle università che, di certo, contrasterebbero il fenomeno della preparazione a pagamento.
Il percorso di studi in medicina e chirurgia oggi in Italia è lungo e farraginoso. Invece di allungarlo ulteriormente occorre renderlo più snello nei tempi e nelle modalità di accesso e valutazione. Non abbiamo bisogno di scimmiottare il modello di altri Paesi apparecchiando, tra l’altro, una serie di beffe a danno degli studenti e dei contribuenti.
Anaao Assomed è per il modello Italia, migliorando ciò che di buono produciamo, almeno laddove raggiungiamo l’eccellenza. Si spera che il Parlamento segua questa strada.
Pierino Di Silverio
Segretario Nazionale Anaao Assomed