Dicono di noi
05/11/2022

Meno pagati d’Europa e con turni massacranti: i medici italiani scappano all’estero e i PS scoppiano - Anaao su LA STAMPA

Link al sito de LA STAMPA, articolo di Paolo Russo

Dal 2010 al 2020 sono stati tagliati quasi 37mila posti letto, che significano centinaia di reparti cancellati dalle mappe dei nostri ospedali

 

La carenza di dottori in Italia «è un problema importante. I medici vanno gratificati meglio e hanno bisogno di avere uno stipendio adeguato al lavoro che fanno». Perché oggi quello dei nostri camici bianchi «non è in linea con quelli europei e mi impegno personalmente a trovare una soluzione a questo problema». Parola del ministro della Salute, Orazio Schillaci, che dovrà vedersela però con uno stanziamento per il rinnovo del contratto già scaduto che basta appena a mettere nelle buste paga dei medici una sessantina di euro, buoni per un paio di uscite in pizzeria.

Eppure il Ministro da medico, oltre che da cattedratico, sa bene come senza i nostri apprezzatissimi dottori, che all’estero ci invidiano e ci rubano, non si risolleva la sanità pubblica italiana e nemmeno si ripara alla piaga delle liste d’attesa, allargatasi ancor più con la pandemia. Il problema è che i nostri camici bianchi guadagnano meno dei loro colleghi europei, hanno sempre più difficoltà a fare carriera e sono sottoposti a turni di lavoro massacranti per carenza di personale. Così in 8mila si sono licenziati dal 2019 al 2021 e 11mila sono migrati a far fortuna oltre frontiera, dove abbiamo fatto dono di altrettante Ferrari, visto che tanto costa formare ogni singolo dottore.

I peggio pagati d’Europa
Cominciamo da quello che non è mai un dettaglio, le retribuzioni. I dati Ocse del 2020 a parità di potere d’acquisto collocano gli stipendi dei nostri dottori dietro a tutti i Paesi dell’Europa occidentale, fatta eccezione per la Grecia, che è a 60.739 dollari lordi, e la Svezia, dove ne guadagnano 105.392, poco meno dei nostri 110.348, superati di quasi duemila euro dalla Spagna, ma molti di più dagli altri Paesi. In Germania lo stipendio medio è di 187.703 dollari, il 70% in più di quanto mettono in tasca i nostri medici. Gli inglesi guadagnano il 40% in più e all’incirca sulla stessa cifra sono i danesi. Il 27% in più lo incassano i belgi mentre in Francia le retribuzioni sono dell’8% più alte. Questo per non parlare di come vanno le cose fuori dal Vacchio Continente. Negli Usa si viaggia su cifre più che doppie, in Corea del Sud lo stipendio medio è di 195 mila dollari e persino in Cile guadagnano nettamente meglio: 136mila dollari, 26mila più che da noi.

Insomma, per allineare gli stipendi dei nostri dottori a quelli percepiti nei Paesi a noi equiparabili di strada da fare ce n’è molta. Ma mentre Schillaci ci mette la faccia impegnandosi “personalmente” a risolvere il problema i soldi messi sul piatto dal Governo, il precedente in verità, sono una miseria. “Appena 616 milioni per il biennio già scaduto 2019-21, che equivalgono a una sessantina di euro mensili netti in busta paga”, spiega sconsolato Pierino Di Silverio, segretario nazionale dell’Anaao, il maggiore sindacato degli ospedalieri.

Ma se i medici piangono gli infermieri non ridono. Anzi, stanno ancora peggio, perché nella classifica Ocse si trovano proprio nel gradino più basso dei Paesi occidentali dell’Ue. In Italia lo stipendio medio del 2020 (sempre a parità di potere d’acquisto e in dollari) è di circa 39 mila dollari numeri ben distanti dagli 87 mila dollari che percepiscono gli infermieri belgi e dagli 81 mila dollari di quelli statunitensi. Ma i numeri sono più bassi del 51% anche se riferiti ai tedeschi (59 mila dollari nel 2018 ultimo dato presente), agli spagnoli che percepiscono 56 mila dollari e ai britannici (48 mila dollari). Facciamo meglio di Grecia e Ungheria ma in questo caso la forbice è molto stretta.
Inutile dire che anche questi professionisti scarseggiano. Ne mancano circa 70mila secondo la Fnopi, la federazione dei loro ordini professionali. E con questa carenza sarà difficile far camminare la riforma dell’assistenza territoriale finanziata con 7 miliardi dal Pnrr, che prevede la figura dell’infermiere di famiglia e gli ospedali di comunità, strutture intermedie a conduzione infermieristica, dove assistere chi non ha più bisogno dell’ospedale vero e proprio ma nemmeno è nelle condizioni di tornare a casa.

La fuga dai pronto soccorso e dalle specialità dove si fa poco privato
Tornando ai medici, non c’è da stupirsi se con queste retribuzioni in molti abbiano scelto il privato o di emigrare all’estero. E a darsela a gambe dalle specialità dove c’è poco spazio per arrotondare con l’attività privata sono anche i giovani specializzandi, che rendono sempre più nero il futuro dei nostri già stressatissimi pronto soccorso. Tanto che i medici dell’emergenza e urgenza che ci lavorano scenderanno in piazza a Roma il prossimo 17 novembre, come proclamato da Simeu, la società scientifica che li rappresenta.
Secondo uno studio appena pubblicato dall’Anaao, infatti, il 50% dei posti nei corsi di specializzazione in medicina d’emergenza è andato deserto. Ancora peggiori sono i numeri dei corsi di specializzazione di microbiologia con il 74% dei posti non assegnati, patologia clinica (il 63% di posti vacanti), radioterapia (63%) e medicina di comunità, con il 54% di diserzioni.
“Queste mancate assegnazioni – commentano Pierino Di Silverio e Giammaria Liuzzi responsabile nazionale Anaao Giovani - si traducono inevitabilmente nella cronicizzazione della carenza di medici specialisti in medicina d’emergenza e sono la prova oggettiva del fallimento dell’attuale impianto formativo dei futuri medici specialisti, fermo a un decreto di ben 23 anni fa (D.Lgs 368/99). Dimostrano inoltre che non basta aumentare i contratti di formazione per colmare le carenze in certe specialità alla luce anche di un contratto di lavoro per la dirigenza medica già scaduto prima ancora di essere rinnovato”.

Fatto è che vanno invece alla grande i corsi di specializzazione dove il mercato privato tira, come chirurgia plastica, dermatologia e oftalmologia, per fare qualche esempio.

Carriere bloccate e turni massacranti
A commentare il quadro ci sono le carriere bloccate e i ritmi infernali di lavoro. Dal 2010 al 2020 sono stati tagliati quasi 37mila posti letto, che significano centinaia di reparti cancellati dalle mappe dei nostri ospedali. Altrettanti di conseguenza sono i posti scomparsi di capo dipartimento, il ruolo dei vecchi primari insomma. E se fare carriera diventa difficile quando i posti apicali sono sempre meno, lo diventa ancora di più quando nelle aziende sanitarie pubbliche le nomine dei manager le fa la politica, che a scendere condiziona così anche l’assegnazione dei posti di responsabilità dei medici. Non un’illazione ma un dato di fatto documentato dalle tante inchieste giudiziarie che si sono succedute negli anni. Ma a deprimere ancor più i nostri dottori è anche il come si è costretti a lavorare, con doppi e tripli turni coperti senza un adeguato riposo, con tutto quel che questo comporta anche dal punto di vista della sicurezza. Perché un medico stanco e stressato è statisticamente più portato a commettere errori.

Di medici in pianta organica tra Asl e ospedali oggi ne mancano ben 15mila e sarà emergenza fino a quando non si vedranno arrivare nel 2027 i giovani specializzati che hanno potuto iscriversi ai corsi grazie all’aumentato numero delle borse di studio durante la pandemia. Nel frattempo ci sarebbe il cosiddetto “Decreto Calabria” che consentirebbe di tamponare la situazione permettendo di assumere gli specializzandi degli ultimi due anni di corso. “Ma serve il nulla osta delle Università che quasi mai lo rilasciano”, denuncia il leader dell’Anaao, Di Silverio. Chissà se l’ex Rettore di Tor Vergata, Orazio Schillaci, si impegnerà a correggere anche questa stortura.

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