........al punto da rischiare sanzioni pesanti riguarda gli orari di lavoro dei dirigenti sanitari, e medici in primis, e la evidenziano i sindacati medici. Il bersaglio però non è tanto l’atto del Comitato di settore, ma sono le regioni che quel comitato esprimono. L’atto d’indirizzo in sé prevede il passaggio graduale ad organizzazione del lavoro “basata su obiettivi e risultati verificati in modo stringente”, programmazione per coprire le esigenze di servizio “secondo i piani aziendali di attività”, meccanismi per comprimere i contenziosi, nuove disposizioni sui servizi di guardia medica e di pronta disponibilità “in coerenza con le modifiche sull’organizzazione del lavoro”, valorizzazione dei turni di notte e dei dirigenti senior. «Dell’atto d’indirizzo, in sé generico ed aperto a consistenti miglioramenti, diamo una valutazione tutto sommato non negativa. E’ un documento che potrebbe permettere finalmente un confronto al tavolo contrattuale con la parte pubblica dopo sette anni di blocco», dice Carlo Palermo vicesegretario Anaao Assomed. «Ci preoccupa invece la Conferenza delle Regioni, che ha reiterato un documento prodotto nel novembre 2015, allegato all’atto di indirizzo, con valutazioni sull’orario di lavoro e richieste di deroghe che a nostro avviso sono del tutto illegittime rispetto alla disciplina “europea” recepita dall’Italia con il decreto legislativo 66/2003 e agli stessi pronunciamenti della Corte di Giustizia Europea».
In questi ultimi anni, la direttiva 88/2003/CE che impone un riposo di almeno 11 ore tra due turni è stata oggetto di letture giurisprudenziali della Corte di Giustizia comunitaria (sentenze Simap- Spagna, Jaeger-Germania, Grecia). Queste sentenze prevedono già il superamento dei vincoli della direttiva in condizioni eccezionali e transitorie per difendere il bene supremo della salute dei cittadini. «Ma, dopo aver effettuato il turno aggiuntivo, l’azienda deve consentire un immediato ristoro del riposo pari all’orario svolto in eccesso: se il turno di servizio è stato di 16 ore – tre in più del consentito – anche il riposo successivo dovrà essere incrementato di 3 ore e quindi portato a 14 ore. Quando parliamo di Italexit – sottolinea Palermo – facciamo riferimento ad alcuni “spropositi” contenuti nel documento delle regioni che travalicano il senso delle sentenze della Corte di Giustizia Europea, alla luce delle quali potremmo, a un tavolo contrattuale, al massimo cercare di ottimizzare le condizioni di servizio per i nostri ospedali in condizioni particolari come possono essere interventi chirurgici della durata di molte ore, l’intera attività legata ai trapianti o condizioni di emergenza/urgenza legata ad eventi catastrofici. Invece le regioni cercano deroghe strutturali per giustificare condizioni croniche di carenza di organico. Per esempio, viene richiesto di portare il periodo medio in cui valutare il tempo massimo di lavoro settimanale, previsto dall’Unione Europea in 48 ore, da 4 mesi a 6 se non a 12 mesi. E’ evidente che in ospedali con cronica carenza di organico come i nostri si creano le premesse per una deroga eterna. E ancora: la richiesta delle regioni di rivisitare tutti i rapporti tra turni di lavoro diurni, notturni e riposi tenendo conto delle attuali condizioni di lavoro, in molti ospedali istituzionalizza il turno mattino-notte riportandoci a condizioni antecedenti alla Legge 161/2014. In pratica, si pretendono deroghe stabili alle norme europee per eludere l’assunzione di personale prevista dalla Legge di Stabilità, anche se con finanziamenti molto incerti. Su queste basi è molto difficile arrivare a quell’accordo con i sindacati che le regioni affermano di volere. Per sollecitarci, le regioni hanno sventolato perfino la minaccia di un decreto interministeriale (Funzione Pubblica e Lavoro) in caso di mancato accordo, dimenticando che un decreto contrario a fonti normative superiori di riferimento avrebbe vita breve. A meno appunto di non far uscire l’Italia dall’Unione Europea».