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28/05/2021

Il Bonus Covid è arrivato a tutti i sanitari? - Sanità Informazione

Un bonus per premiare gli eroi della pandemia, sin dai primi mesi nel fulcro dell’emergenza senza protezioni adeguate. Un anno fa Cura Italia e Salva Italia hanno erogato le somme alle regioni, ma le tasche di alcuni professionisti sono rimaste vuote. Analizziamo la situazione con Palermo (Anaao-Assomed) e Larussa (Anaao Calabria)

Questi sono giorni diversi, quelli della “risalita”. Da tutta Italia arrivano notizie di terapie intensive in chiusura, i morti scendono finalmente e i contagi sembrano sotto controllo. L’estate 2021, se non sbagliamo sulle riaperture, potrebbe somigliare a quella del 2020 e avere risultati diversi in autunno grazie ai vaccini. Eppure sono ancora vivi nella memoria dei professionisti sanitari i ricordi delle tre ondate di Covid-19 che hanno affrontato.

Le abbiamo raccontate tante volte: ospedali pieni, pronto soccorsi in affanno, sirene di ambulanze lungo strade deserte. La paura che ha stretto il cuore di medici, infermieri e operatori socio-sanitari, impegnati a curare e sostenere i malati sperando di non portare a casa il virus e non ammalarsi. Un sacrificio che è parte della loro professione, ma che è anche stato così intenso da attribuire loro la qualifica di “eroi”.

Il Bonus Covid per gli eroi in mascherina

Gli eroi con la mascherina, che hanno portato sulle loro spalle la pandemia. Persone che lo Stato ha ritenuto di dover premiare per la resistenza e gli straordinari con un Bonus Covid, da ripartire tra medici, professionisti sanitari e oss del Servizio sanitario nazionale. A stabilirlo i due decreti 18/20 e 34/20 (Salva Italia e Cura Italia) dello scorso anno. Un’iniziativa nazionale che ha messo a disposizione 700 milioni, che poi però è stato compito delle singole Regioni ripartire. Un anno dopo, i destinatari del Bonus hanno ricevuto quel che gli spettava?

Nella maggior parte dei casi la risposta può essere sì. Sebbene con iniziali difficoltà molto diverse tra loro, un dialogo proficuo tra sindacati e amministrazione ha permesso di operare una divisione in fasce (fino a 5) e di assicurare una quota ad ogni lavoratore. Ce lo assicura Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao-Assomed, raggiunto da Sanità Informazione.

La divisione per rischio e le indennità, Palermo: «Ma c’è il caso Calabria»

«Nelle singole realtà regionali – ci spiega – si può immaginare una gradazione del rischio corso, per cui ci si è chiesti come dividere queste quote economiche tra dirigenza e comparto, a monte. A valle c’era da costruire una gradualità di accesso, in base al rischio di esposizione al contagio, e in genere le linee guida sono state queste, anche se alcuni hanno forzato la mano con assegnazioni indistinte. Altri hanno allargato la platea anche a categorie non direttamente impegnate nella pandemia, creando qualche problema nella differenza che è stata fatta tra specializzandi e specialisti». In generale però, le assegnazioni sono state portate a termine dove il confronto con i sindacati è riuscito positivamente.

«Dalla Calabria – insiste però Palermo – è arrivata una lunga serie di proteste, legate alle forzature che le sigle sindacali in particolare del comparto (Cgil, Cisl e Uil) hanno effettuato, non trovando una vera soluzione. Spesso sono state fatte delle suddivisioni pro capite, ovvero una distribuzione della stessa somma a categorie che hanno stipendi netti ben differenziati, per cui alla fine il pro capite ha avvantaggiato coloro che hanno uno stipendio medio più basso, che percentualmente hanno avuto una valorizzazione maggiore. Senza considerare che alcune categorie del comparto godono già di alcuni vantaggi di cui non godono i medici, come l’indennità di rischio biologico».

Cosa è successo in Calabria?

La Calabria in questo senso costituisce un caso a parte. Rimasta l’unica Regione a non aver trovato un accordo con tutti i sindacati per i fondi del Bonus Covid, di cui per ora i professionisti sanitari del Ssn non hanno visto traccia. Qui Anaao Assomed, insieme con Aaroi Emac, Cimo Calabria e parzialmente Fesmed, ha impugnato il decreto 34 del commissario ad acta per il piano di rientro Guido Longo, emanato a marzo per ripartire le indennità, per farlo annullare. Per capire cosa sta accadendo abbiamo raggiunto Filippo Larussa, segretario Anaao Assomed Calabria.

In Calabria, dopo i decreti governativi del 2020, sono arrivati prima 8 milioni con Cura Italia e poi poco più di 6 milioni con Salva Italia. Le singole Regioni avevano inoltre la possibilità di erogare fino al doppio della somma assegnata dallo Stato di “tasca loro”, come risorse aggiuntive regionali (RAR). Fino a 28 milioni dunque, che però in concreto sono stati 2 milioni.

L’accordo che non c’era

Larussa racconta di sigle sindacali convocate in via informale per tre volte dal soggetto attuatore per l’emergenza Covid, per discutere i criteri con cui attribuire i primi 8 milioni arrivati. Durante questi appuntamenti si ipotizza un’assegnazione delle indennità divisa per fasce di rischio con differenti corrispettivi economici. 1.830 euro per i dipendenti che hanno svolto attività in reparti ad alto rischio, 883 euro rischio medio e 252 euro rischio basso. Somme però lorde, che andavano poi a penalizzare i professionisti con stipendio e aliquote più alti, tra cui i dirigenti medici. Inoltre, incluso nell’erogazione di indennità figurava anche il personale medico del 118 convenzionato, che da decreto non sarebbe dovuto rientrare in fondi riservati ai dipendenti del Ssn.

«Noi sindacati (Anaao, Aaroi e Cimo), come rappresentanti del 90% della dirigenza, avevamo già manifestato la nostra contrarietà a simili criteri – spiega Larussa -, ma, privati di un confronto su eventuali modifiche, il 6 luglio 2020 ci è stato chiesto di ratificare un accordo con il dipartimento. Abbandonammo quindi la riunione scoprendo solo dopo che i segretari della Triplice (Cgil, Cisl e Uil), rappresentanti al 10% per la dirigenza ma in maggioranza assoluta per il comparto, avevano invece firmato il documento».

Il ricordo al Tar e il nuovo decreto, somme che erano “rimborsi”

Un documento di cui i sindacati esclusi non hanno potute prendere visione se non in via informale, e che non si trova nemmeno sul sito della Regione Calabria. Di fronte a questo le tre single della dirigenza hanno risposto con un’azione verso l’allora direttore del dipartimento Tutela Salute Francesco Bevere per comportamento anti-sindacale, e con un ricorso al Tar contro il decreto derivato successivamente dall’accordo.

Il sostituto di Bevere, dimessosi dopo qualche mese, Giacomino Brancati ha fatto poi seguire un decreto che stabiliva la ripartizione per singole aziende ospedaliere non solo degli 8 milioni di cui si discuteva all’inizio, ma anche dei 6 del Salva Italia e dei 2 milioni che la Regione avrebbe poi deciso di aggiungere, prelevandoli da fondi comunitari.

Larussa: «Eroi negletti»

«Nel decreto si specificava – spiega ancora il segretario Larussa – che l’erogazione definitiva era comunque in larga parte un rimborso, in quanto buona parte di quei 14 milioni dello Stato erano già stati spesi dalle aziende per attività Covid connesse. Tra cui anche la retribuzione di straordinari, l’acquisto di materiali come tamponi e mascherine e persino il “bonus rischio basso” agli amministrativi recatisi in sede durante la prima fase dell’emergenza». Inoltre dei due milioni promessi dalla Regione non c’è traccia.

Per ora le tasche di tutti i protagonisti della pandemia in Calabria sono rimaste vuote. «Eroi buggerati, dimenticati, negletti», li definisce con un sospiro Larussa. «Quelle indennità che dovevano servire per trascorre delle ferie serene nel 2020 – conclude – non riusciranno a concedere questa possibilità nemmeno nel 2021 in Calabria».

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