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17/11/2020

Pochi medici in Italia: i nodi del sistema sanitario nazionale - UPDAY NEWS

L'imbuto della specializzazione, risorse e politiche insufficienti, l’inserimento farraginoso nel mondo del lavoro e l’esigenza di aggiornare l’ingranaggio in poco tempo. Parla Carlo Palermo di Anaoo-Assomed

‘Mancano medici’. Si moltiplicano gli allarmi sulla carenza di personale e in tutta Italia vengono richiamati professionisti pensionati in un generale clima di preoccupazione e di difficoltà. Spiega il segretario Anaao Assomed, Carlo Palermo: “Mancano circa 6.000 medici; colpa di un deficit strutturale che denunciamo dal 2011. Sono passati quasi dieci anni da quando abbiamo cominciato a parlarne”. La forbice non riguarda tanto i laureati ma l’effettivo numero di lavoratori che il sistema riesce ad attrarre e arruolare. Perché si è arrivati a questo punto?

Il personale del sistema sanitario nazionale

La sufficienza o insufficienza di personale ospedaliero dipende da almeno tre fattori: quanti medici sono pronti secondo la nostra normativa ad accedere al mondo del lavoro, quanti soldi vengono impiegati per le nuove assunzioni e il rapporto tra nuovi medici assunti e medici verso la pensione.

Nel nostro Paese, chi si occupa della sanità pubblica è lo Stato, che definisce i Livelli essenziali di assistenza, ovvero l’ammontare complessivo delle risorse finanziarie necessarie al loro finanziamento, e le Regioni, che hanno il compito di organizzare i rispettivi Servizi sanitari regionali. Ricordiamo anche che alcune Regioni a partire dalla legge finanziaria del 2005 sono state commissariate o destinate a essere osservate speciali (con i cosiddetti piani di rientro) per via dei disavanzi, quindi hanno avuto ancora più difficoltà a destinare risorse.

Secondo un rapporto del 2019 dell’Ufficio parlamentare di bilancio, in un contesto di generale sacrificio delle risorse per investimenti nell’ambito del consolidamento delle finanze pubbliche, una delle voci di spesa che hanno risentito maggiormente delle restrizioni è stata quella per il personale.

Nel quinquennio 2019-2023 - calcola Anaao - sono previsti 32.501 pensionamenti, a fronte di soli 22.328 nuovi specialisti che opteranno per il Sistema sanitario nazionale (il 66% del totale annuale secondo le stime Anaao), con un ammanco di 10.173 specialisti. Questi dati erano noti e spettava alle istituzioni programmare in anticipo come tenere in equilibrio il sistema. “Avevamo calcolato che il 2021 sarebbe stato il momento di massimo picco tra alti pensionamenti e mancato sblocco del turnover", dichiara Palermo. "Il decreto Calabria del 2019 (che contiene misure per la sanità regionale e nazionale, ndr) sblocca un po’ il turnover permettendo un incremento della spesa del personale. È un provvedimento che ci ha dato un certo miglioramento nell’assumere da parte delle regioni”.

Altro discorso è quello dell’emergenza in corso. il decreto Cura Italia e quello Rilancio stanziano nuove risorse ma le fragilità del sistema in affanno da anni, la possibilità di entrare con contratti precari che non sempre è attraente per i medici, insieme all’aumento del fabbisogno per la pandemia, dovuto anche ai contagi e alla conseguente assenza di parte del personale, sono mali che non si risolvono in poco tempo.

“Se parliamo della situazione degli ospedali rispetto alla richiesta di organico e ci limitiamo alle terapie intensive, si chiede un aumento di 3.500 unità e un upgrade di 4.500 posti nella subintensiva che teoricamente dovrebbero essere già presenti. Mancano 2.200 anestesisti e 2.000/2.550 tra internisti, infettivologi, pneumologi e subintensivisti. Il quadro è serio e pesante”.

L’imbuto della specializzazione

Anche potendo assumere, resta il problema dell' imbuto formativo: il gap tra numero di accessi al corso di laurea in Medicina e Chirurgia e l’insufficiente numero di contratti specialistici. Solo i medici specializzati – coloro che hanno terminato o stanno terminando la specializzazione - possono entrare nel servizio sanitario. Ma il numero di borse di studio pagate dallo Stato è inferiore rispetto alla platea effettiva e soprattutto alle necessità delle strutture.

“Un primo passo il governo l’ha fatto incrementando fino a 14.500 i contratti di formazione specialistica post-laurea del 2020. Per uscire dall’imbuto formativo abbiamo bisogno di incrementare e di mantenere un livello molto alto di contratti specialistici sia per il 2021, intorno ai 15mila contratti, sia per il 2022. Così riassorbiremo la forbice”.

Già, ma nel frattempo cosa si fa ora? “Con una carenza di almeno 10 anni possiamo solo utilizzare un articolo del decreto Calabria che è stato ulteriormente allargato con il Mille proroghe. Ci dà la possibilità di assumere gli specializzandi del terzo, quarto e quinto anno. Sono una platea importante di 13/14mila colleghi in fase di specializzazione. Tuttavia vanno pensati avvisi pubblici ‘agili’ che diano la possibilità di entrare con contratti tutelati, non con quelli precari, e attraverso opportuni incentivi”.

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