Dicono di noi
13/04/2020

Covid-19. Il j’accuse dei medici: Palermo:"Tecnici e Asl hanno fallito. Medici al fronte non protetti". QUOTIDIANO SANITA'

"Innanzitutto si sono lasciati trovare totalmente impreparati nonostante le avvisaglie. La prima responsabilità riguarda il fatto che non hanno pensato di implementare i piani pandemici. A seguire, non hanno pensato di creare stock di Dispositivi di protezione individuale a tutela degli operatori sanitari, altro elemento di colpa gravissima". "Poi è mancata una fase territoriale di valutazione del virus". "Ora serve uno 'scudo' giuridico per i colleghi in prima linea, eliminare la colpa grave e ricentralizzare la sanità per guidare la riorganizzazione del Ssn post Covid-19"

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Chi ci guida a livello tecnico ha responsabilità gravissime. Le scelte dei tecnici hanno fatto sì che si mandassero colleghi ad operare senza le protezioni necessarie. E così oggi abbiamo oltre 14.000 operatori contagiati e 100 medici morti".
 
È duro il giudizio da parte del segretario nazionale dell'Anaao, Carlo Palermo, sull'operato di Iss, Cts e Aziende sanitarie nella risposta al Covid-19. In questa intervista a Quotidiano Sanità il segretario Anaao ha tracciato un bilancio ad un mese e mezzo dall'inizio di questa epidemia, immaginando anche come dovrà riorganizzarsi il Ssn una volta venuta meno l'attuale stato di emergenza.
 
Dottor Palermo, ad ormai un mese e mezzo dall'inizio di questa epidemia,qual è il suo giudizio sulla risposta della sanità italiana?
Il giudizio va differenziato tra chi è responsabile delle scelte ed indirizzi con i quali si è affrontata questa crisi e chi lavora negli ospedali, nella ‘trincea’. La mia valutazione sui tecnici che ci guidano - ossia Istituto superiore di sanità, Comitato tecnico-scientifico e responsabili di Aziende sanitarie - è pessima per una serie di motivi.
 
Ce li può spiegare?
Innanzitutto si sono lasciati trovare totalmente impreparati nonostante le avvisaglie. La prima responsabilità riguarda il fatto che non hanno pensato di implementare i piani pandemici. A seguire, non hanno pensato di creare stock di Dispositivi di protezione individuale a tutela degli operatori sanitari, altro elemento di colpa gravissima. Ricordiamo che, proprio questa, è una delle principali cause dell’esposizione del personale sanitario sia sul territorio che in ospedale. Questo ha causato il contagio di circa 14.000 operatori oltre al decesso di 100 colleghi. C'è poi un elemento di colpa ulteriore.
 
Quale?
Sul tema dei Dispositivi di protezione individuale l'Istituto superiore di sanità si è appiattito sulle posizioni dell'Oms. Quest'ultima ha cambiato in pieno sviluppo pandemico l’indirizzo sull’utilizzo della maschere filtranti, sostituite con quelle maschere chirurgiche che studi successivi hanno dimostrato essere inadatte a proteggere gli operatori che le indossano. Per cui possiamo dire che sono stati totalmente dimenticati due insegnamenti fondamentali che ci venivano da Carlo Urbani, infettivologo che ha combattuto la Sars nel 2003 in Vietnam: separare i pazienti infetti, creando da subito percorsi ben separati e distinti, cosa sulla quale non eravamo affatto preparati; e garantire una protezione ai massimi livelli di riguardo i Dispositivi di protezione ndividuale per il personale esposto. Questo il dato eclatante che pesa nel giudizio negativo su chi è stato responsabile delle scelte effettuate in questi mesi. Anche il Decreto Cura Italia recentemente approvato dal Senato continua ad avere quegli stessi errori madornali.
 
Cosa intende?
Da un lato il calo del livello di protezione delle vie aeree con la continua proposizione delle mascherine chirurgiche per gli operatori sanitari; e dall’altro  quella sciagurata decisione che ha già trasformato gli ospedali in luoghi di contagio, visto che gli operatori sanitari sono gli unici esonerati dall’isolamento fiduciario anche se in contatto con pazienti positivi a Covid-19. Con il rischio così di infettare colleghi e pazienti. Senza contare altri aspetti psicologici: avendo avuto esposizioni non protette con pazienti positivi, con quale spirito pensa che questi colleghi possano tornare a casa consci dell'alto rischio di infettare anche la propria famiglia? Non a caso alcuni preferiscono evitare, non potendo così neanche più far conto sul sostegno psicologico dei propri affetti. Ma capisco il motivo di questa scelta politica, visto che veniamo da anni di sottofinanziamento del Ssn che ha creato il disastro odierno: posti letto tagliati, posti di terapia intensiva inadeguati e grave carenza di personale sanitario.

Sembra che l'Italia si sia divisa anche nella sfida al Covid-19. Tre i principali modelli di risposta adottati dalle diverse Regioni: ospedalocentrica, mista o più incentrata sul territorio. Questo è stato un problema?
Siamo di fronte ad una malattia perfettamente sconosciuta, subdola e contro cui non abbiamo nessun arma di difesa. Ad oggi ancora non abbiamo né farmaci né vaccini. Teniamo sempre conto che quanto noi affermiamo oggi ha molto di analisi a posteriori. Per molti versi abbiamo rincorso l’evento epidemico, non siamo quasi mai riusciti ad anticiparlo.
 
Cosa è mancato di più?
È mancata una fase territoriale di valutazione del virus. Oggi sappiamo che senza una fase territoriale adeguata non possiamo contrastare un’epidemia come questa. Servono pertanto degli interventi territoriali per prendere in carico la patologia già in fase precoce. Individuare tempestivamente asintomatici ed oligosintomatici con tamponi, e prenderli in carico anche farmacologicamente già dal domicilio. Questo significa che è necessaria una stretta connessione tra territorio e ospedale. Ciò che abbiamo sofferto è stata la mancanza di questa integrazione. In questo ultimo mese abbiamo avuto la dimostrazione concreta di quanto questa sia realmente utile. La mancanza di questa fase è stato uno degli elementi cruciali nella differente risposta all'epidemia venutasi a registrare, ad esempio, tra Veneto e Lombardia. Anche se non possiamo dimenticare la diversa strutturazione sociale tra la zona del lodigiano e della bergamasca, fortemente popolate ed industrializzate, e quindi con una maggiore potenzialità di propagazione del virus, rispetto all’ambiente più agricolo e distanziato dei colli euganei. Una sanità tutta concentrata sull’ospedale, che ha disperso determinate caratteristiche della medicina di base alla ricerca di modelli molto privatizzati, pur potendo contare su ospedali di eccellenza ma scarsamente collegati sul territorio, ha dimostrato di essere insufficiente per contrastare efficacemente un'epidemia di questo tipo.
 
Dopo un mese di sostanziale tregua è partita una nuova vertenza del fronte sindacale. Diverse le rischieste: da uno 'scudo' sulla reponsabilità professionale alle premialità, passando per le assunzioni ed i Dispositivi di protezione individuale.
Oltre agli aspetti legati alla tutela della salute sui luoghi di lavoro, vi sono altri aspetti che rimangono incomprensibili per certi versi. Siamo in una condizione emergenziale, veniamo da 10 anni di sottofinanziamento, manca il personale sanitario ma se leggiamo i decreti approvati scopriamo paletti vergognosi in una situazione simile: paletti voluti dal Mur e dal Mef.
 
A cosa si riferisce?
Avremmo dovuto mettere al centro l’assunzione rapida dei colleghi, con concorsi a tempo indeterminato esaurendo graduatorie, per poi assumere specializzandi con avvisi pubblici rapidi e semplificati in modo da aspettare massimo 10-15 giorni per avere in ospedale nuovi colleghi. Avevamo una platea importante che poteva essere attirata da una prospettiva immediata o futura di una stabilizzazione. Vi sono circa 15.000 specialisti già formati che vivono in una condizione di non completa occupazione, oltre a questi, vi sono poi altri 9.000 specializzandi del IV e V anno. Avremmo dovuto assumere questi superando tutte quelle inutili pastoie ntrodotte soprattuto dal Mur. Possibile che anche di fronte ad una grave emergenza come questa il Mur intenda mantenere una serie di paletti scandalosi? Pensi all’esperienza che potrebbe maturare un’anestesista in un contesto simile. Il Mur ha voluto invece continuare a mantenere il controllo sugli specializzandi che ora potranno avere un contratto di tipo autonomo ‘usa e getta’ senza tutela assicurativa, previdenziale e sindacale.
 
E cosa mi può dire sulle recenti polemiche in tema di responsabilità professionale degli operatori?
Sulla responsabilità professionale degli esercenti la professione sanitara abbiamo bisogno di 'scudo' giuridico in un contesto emergenziale come questo. Servono tutele per chi si è trovato ad operare in prima linea in condizioni inimmaginabili. È necessario uno scudo che permetta come solo elemento di procedibilità il dolo, e non più anche la colpa grave. Si deve passare da meccanismi di risarcimento a meccanismi di indennizzo. Si dovrebbe pensare all'istituzione di un Fondo ad hoc che possa garantire in maniera standardizzata e rapida gli indennizzi per gli operatori danneggiati o deceduti. Penso poi sia giunto il momento di cambiare il concetto di colpa medica che dovrebbe uscire da una logica di tipo penale, verso modelli nord europei. Si potrebbe così passare da una logica della colpa ad una logica dell’errore. Anche questo processo andrebbe accompagnato da sistemi di indennizzo sullo stile di quanto avviene, ad esempio, per trasfusioni errate.

Un commento sulla prossima fase 2, secondo lei come potrà prospettarsi un ritorno alla vita nei prossimi mesi?
Nella fase 2 non bisogna disperdere i sacrifici fatti con questi processi di distanziamento sociale. Mi sembra che in questo senso la risposta degli italiani ci sia stata, hanno dato una dimostrazione di quale sia la giusta via da seguire. Si dovrà in qualche modo avere una ripresa delle attività, verosimilmente ci vorrà tutto maggio per poter vedere una riduzione consistente della casistica. Potrebbero essere d’aiuto i nuovi test sierologici, validati, in modo da realizzare studi di sieroprevalenza sulla popolazione. Potremo così capire quale sia stata la reale circolazione del virus nel Paese in questi mesi. Quello che individuiamo oggi con il tampone non è che la punta dell’iceberg.
 
Potremo a quel punto tornare ad una vita normale?
Non ritorneremo alle condizioni precedenti fino a quando non avremo un vaccino. Dovremo convivere con il virus. Verosimilmente ci saranno nuovi focolai che dovranno essere prontamente individuati e isolati. Si passerà a zone rosse più limitate per circoscrivere l’espansione di nuovi epicentri epidemici. Poi bisognerà far buon uso dell’esperienza maturata e sperare di avere un quadro più chiaro dal punto di vista terapeutico. Aumentano segnalazioni di eventi tromboembolici legati allo stato infiammatorio generale che il Covid-19 comporta. Ci sono avanzamenti importanti sotto il profilo della comprensione di una malattia ancora non conosciuta in tutte le sue articolate espressioni. Anche dal punto di vista sanitario si dovrà poi pensare al dopo Covid.
 
Cosa intende?
Abbiamo riorganizzato la sanità tutto in logica di reazione al Covid-19. Abbiamo così messo da parte tutte le patologie ordinarie. Ora andranno riaffrontate con una riorganizzaazione complessiva del sistema. Dovranno essere previsti sul territorio dei presidi dedicati solo al Covid-19. Si dovrà riprendere l’attività ordinaria. Il dato positivo è che avremo più posti letto in terapia intensiva. Questo era un limite peril  numero di interventi chirurgici complessi che si potevano eseguire. Si dovranno poi indirizzare i nuovi contratti di formazione: avremo bisogno di anestesisti, infettiovologi, penumologi, chirurghi, ortoperdici…tutti coloro che dovranno intervenire per il ritorno alla normalità del Ssn. Sarà dunque necessario controllo più stretto da parte del Ssn su quelle che sono le prospettive della formazione post laurea che non potrà essere lasciata alla gestione autoreferenziale del Miur.
 
E sulla riforma del Titolo V?
Abbiamo necessità di una ricentralizzazione del Ssn. Già ora poteva essere tutto ricentralizzato visto lo straordinario contesto epidemico. Politiche sanitarie non possono essere solo guidate solo prendendo in considerazione il profilo economicistico. Al Sud c’è stata una desertificazione degli sopedali. Una politica centrale è necessaria a garantire livelli adeguati di prestazioni. Abbiamo bisogno di politiche sanitarie che permettano interventi organizzativi finalizzati ad una omogenea garanzia dei Lea su tutto il territorio nazionale.
 
Giovanni Rodriquez

 

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