Rassegna di giurisprudenza
18/05/2018

Sentenze: le novità 14-18 maggio 2018

Questa settimana: - Responsabilità dell’ospedale e condotta degli operatori; - Assenza di una giornata da lavoro senza giustificazione; - Legittimazione ad agire del sindacato; - Fumare è una scelta consapevole: nessun risarcimento; - Vaccini: legittimo il risarcimento; - Restituzione somme Asl e buona fede medico; - Enpam contributo del 2%.

Cassazione Civile – sentenza n. 6689 del 19/03/2018 - La responsabilità dell’Ospedale prescinde dall’accertamento di una condotta negligente dei singoli operatori. Nell’esercizio dell’attività medica occorre distinguere la responsabilità gravante sulla struttura sanitaria da quella di cui è chiamato a rispondere il singolo medico che, in concreto, ha posto in essere la condotta colposa pregiudizievole per il paziente. Con riguardo alla prima ipotesi di responsabilità, dottrina e giurisprudenza sono sempre state concordi nell’inquadrare la medesima nell’ambito della responsabilità contrattuale, sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto. È stato altresì ormai da tempo chiarito che il rapporto paziente-struttura va considerato in termini autonomi dal rapporto paziente-medico, e qualificato come un autonomo e atipico contratto a prestazioni corrispettive (da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) al quale si applicano le regole ordinarie sull’inadempimento.

Cassazione Lavoro – ordinanza n. 10086 del 24/04/2018. Niente sanzioni a lavoratore assente per un giorno senza certificato. A stabilirlo la Corte di Cassazione che, con ordinanza, ha respinto il ricorso di Poste nei confronti di un portalettere che si era assentato per un'intera giornata giustificando soltanto un paio d'ore per la visita in un ambulatorio medico e non producendo per il resto alcun certificato di malattia. Ad avviso degli Ermellini, va confermata la decisione di merito che aveva sottolineato che il comportamento del lavoratore non rientrava "nell'ipotesi di simulazione della malattia o di altri impedimenti ad assolvere gli obblighi di servizio in assenza della prova della simulazione". Correttamente la Corte d'Appello di Milano aveva escluso "che la produzione di documentazione medica insufficiente ad attestare l'esistenza della malattia fosse sufficiente a dimostrare la simulazione della malattia medesima" ed aveva proceduto "a verificare se la condotta contestata potesse essere ricondotta ad una delle altre ipotesi sanzionate con l'irrogazione della sospensione dal servizio", escludendo tale evenienza.

Tribunale di Salerno – sentenza n. 769 del 15/03/2018. In primo luogo è necessario che lo statuto dell'ente preveda, come fine istituzionale, la protezione di un determinato bene "a fruizione collettiva". In secondo luogo, è necessario accertare in concreto che la rappresentatività dell'ente nei confronti dei propri associati "sia tale da consentirgli di intervenire a tutela di un interesse da considerarsi non come semplice sommatoria degli interessi dei singoli associati, ma come interesse proprio dell'associazione". In altre parole, il fatto che un certo atto datoriale incida contestualmente su una pluralità di posizioni soggettive, non fa insorgere, automaticamente, un interesse collettivo in capo all'ente sindacale rappresentativo, specie laddove le situazioni individuali siano e restino differenziate l'una dall'altra. Il sindacato può agire in giudizio per far valere interessi suoi propri ed esclusivi, ma non degli associati, atteso che questi sono autonomi e responsabili soggetti di diritto, per cui la tutela giudiziale del loro interesse non può prescindere dall'autodeterminazione al giudizio dei singoli interessati, ed il fatto che una controversia, che riguarda singoli lavoratori, possa interessare indirettamente la generalità degli appartenenti alla categoria non la trasforma da individuale a collettiva".

Cassazione Civile – sentenza n. 11272/2018. La Cassazione ha respinto il ricorso di un fumatore, deceduto per tumore prima della chiusura del processo, contro l'azienda produttrice delle sigarette e il ministero della Salute. Per i giudici che il fumo sia dannoso è un fatto notorio dagli anni 70 e non vale neppure l'accusa alla casa produttrice di aver inserito nelle sigarette delle sostanze che danno assuefazione, perché secondo i giudici non annullano la volontà.

Cassazione Lavoro – sentenza n. 11339/2018. Vaccini: per la Cassazione legittimo il risarcimento anche per quelli non obbligatori. Nella sentenza della Corte di Cassazione n. 11339 del 10 maggio 2018 si spiega che non è costituzionalmente lecito, sulla base degli articoli 2 e 32 della Costituzione, richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un interesse collettivo, senza che la collettività stessa sia disposta a condividere, come è possibile, il peso delle eventuali conseguenze.

Tribunale di Salerno – sentenza n. 771/2018. La buona fede del medico convenzionato non è sufficiente ad escludere la restituzione delle somme alla Asl. In materia di impiego pubblico privatizzato, nel caso di domanda di ripetizione dell'indebito proposta da un'amministrazione nei confronti di un proprio dipendente, in relazione alle somme corrisposte a titolo di retribuzione, qualora risulti accertato che l'erogazione è avvenuta "sine titulo", la ripetibilità delle somme non può essere esclusa per la buona fede dell'"accipiens", in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi. Del resto, il recupero ha carattere di doverosità e costituisce esercizio, di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non rinunziabile, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate, mentre le situazioni di affidamento e di buona fede dei percipienti rileverebbero ai soli fini delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente

Cassazione Lavoro – sentenza n. 10959/2018. Le società di capitali convenzionate devono pagare i contributi calcolati sul fatturato e non sui compensi pagati ai camici bianchi. I medici e gli odontoiatri che esercitano la professione per le società accreditate con il Servizio sanitario nazionale hanno diritto a un contributo calcolato sul fatturato delle strutture. A stabilirlo in modo inequivoco è stata la Corte di Cassazione mettendo fine a un’annosa diatriba. Dal 2004, infatti, per legge le strutture private accreditate con il Ssn devono destinare il 2 per cento del loro fatturato in convenzione al Fondo degli specialisti esterni dell’Enpam. In molti casi però le società si sono opposte al pagamento avviando contenziosi e cercando di far passare il principio che i contributi, al massimo, fossero dovuti sui compensi pagati ai medici e non sulle somme, ben più elevate, fatturate alle Asl.

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