Rassegna di giurisprudenza
06/04/2018

Sentenze: le novità dal 3 al 6 aprile 2018

Questa settimana: - Suicidio del paziente: limiti responsabilità sanitari - Indennità di esclusività e soluzione di continuità - Pubblicazione emolumenti dirigenti: sospeso l’obbligo - Responsabilità e rispetto linee guida - Tardiva diagnosi e diritto a cure alternative - Aspettativa retribuita per il dottorato - Responsabilità e prova del nesso causale

Tribunale di Rovigo – Sentenza del 15 febbraio 2018.
Accanto alle prestazioni sanitarie e di cura, rientra anche un dovere di vigilanza sui pazienti, che sarà maggiore nel caso di soggetti che hanno posto in essere condotte autolesionistiche o hanno manifestato intenti suicidari. Affinché sorga tale dovere è necessario che i medici e più in generale i dipendenti dell'Azienda Ospedaliera vengano informati di tale pericolo o, quantomeno, che tale pericolo fosse da loro riconoscibile, non potendosi individuare una responsabilità della struttura per un evento imprevedibile. Al fine di accertare se il personale dell'azienda ospedaliera fosse stato portato a conoscenza di tutte queste circostanze, ed in particolare delle manifestazioni di intenti suicidari, è necessario valutare, innanzitutto, i documenti in atti, per verificare se la struttura ospedaliera e in particolare i suoi dipendenti, a vario titolo entrati in contatto con la paziente, fossero stati messi nelle condizioni di conoscere detti propositi suicidari o autolesionisti della paziente, poi dalla stessa posti in atto.

Cassazione Civile – Sezione Lavoro – ordinanza n. 7440 del 26 marzo 2018
In tema di compensi spettanti al personale del SSN, il comma 3 dell'art. 12 del CCNL 1998-2001 per la Dirigenza medico veterinaria, nella parte in cui stabilisce che ai fini dell'indennità di esclusività (di cui al precedente art. 5) la maturazione dell'anzianità complessiva di servizio può avvenire anche per effetto di "un rapporto di lavoro a tempo determinato", "senza soluzione di continuità" anche in aziende ed enti diversi del Comparto - in conformità con l'art. 3 Cost. nonché con la direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 e allegato Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, clausola 4, come interpretati dalle sentenze della CGUE 26 ottobre 2006, causa C-371/04 Cit.; 8 settembre 2011, causa C-177/10; 18 ottobre 2012, cause riunite da C-302/11 C-305/11 - deve essere inteso nel senso che laddove il servizio dal dirigente si sia svolto, in base a contratti a termine, sempre e soltanto alle dipendenze del SSN, non costituisce soluzione di continuità la presenza di intervalli temporali tra i diversi contratti a termine che siano conformi a quelli richiesti dalla suddetta disciplina e che, a maggior ragione, è da escludere che possa configurarsi una "soluzione di continuità" nel rapporto laddove tali intervalli siano insussistenti o minimi e la parte interessata rinuncia a far valere la prevista nullità.

Tar Lazio – Sezione 1 quater -  sentenza n. 84/2018
Con comunicato del Presidente del 7 marzo 2018, l’ANAC ha comunicato la sospensione dell’efficacia della determinazione dell’8 marzo 2017, limitatamente alle indicazioni sulla pubblicazione dei dati di cui all’art. 14, comma 1-ter, ultimo periodo del d.lgs. 33/2013, concernente l’obbligo dell’amministrazione di pubblicare sul proprio sito istituzionale il dato trasmesso da ciascun dirigente sull’importo complessivo degli emolumenti percepiti a carico della finanza pubblica. La sospensione si è resa necessaria per via della sentenza del Tar Lazio n. 84/2018, su ricorso del Garante per la protezione dei dati personali, per la corretta interpretazione dello stesso Tar del 2 marzo 2017 n. 1030, con la quale sono stati sospesi gli atti del Garante volti a dare attuazione agli obblighi di trasparenza relativi ai dati reddituali e patrimoniali, nonché ai compensi e agli importi di viaggio di servizio dei dirigenti. Il Tar con la sentenza n. 84/2018 ha deciso che “la corretta interpretazione dell’ordinanza di cui trattasi, alla luce del conseguimento da parte dei ricorrenti dell’effetto utile che le è proprio, preclude anche la pubblicazione del dato aggregato di cui al comma 1-ter dell’art. 14 del d.lgs. 33/2013”.

Tribunale di Roma – Sezione XIII - Sentenza 1 febbraio 2018
La sentenza emessa il 1° febbraio 2018 in materia di responsabilità medica della Sez. XIII del Tribunale Civile di Roma si occupa di una fattispecie di interventi chirurgici di straordinaria difficoltà in paziente plurioperata all'anca con condizioni ossee fragili e degradate.
Nessuna responsabilità medica se vi è rispetto di linee guida o buone pratiche in presenza di problemi tecnici di speciale difficoltà.

Cassazione Civile – Sezione III - ordinanza n. 7260 del 23 marzo 2018
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 7260 del 23.03.2018, si è pronunciata in merito alla tutela risarcitoria del danno consistito nell'imposizione, a carico di un paziente, a cui era stata tardivamente diagnosticata una patologia neoplastica, di una condizione esistenziale di materiale impedimento a scegliere "cosa fare" nell'ambito di ciò che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all'esito infausto, ovvero di programmare il suo essere persona e, dunque, l'esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche in vista e fino a quell'esito. La Suprema Corte ha ritenuto meritevole di tutela risarcitoria non solo la mancata scelta di procedere celermente all'attivazione di una idonea terapia, o la mancata fruizione delle terapie palliative delle quali il paziente avrebbe potuto beneficiare, con conseguente alleviamento delle sue sofferenze patite, ma anche la stessa decisione del paziente di vivere le ultime fasi della propria vita, nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico, in attesa della fine. Per la Corte, quindi, anche la sofferenza e il dolore, là dove coscientemente e consapevolmente non curati, acquistano un senso ben differente, sul piano della esistenza, se accettati dal paziente piuttosto che vissuti dallo stesso passivamente.

Cassazione Civile – Sezione Lavoro - sentenza n. 3096 dell’8 febbraio 2018 
 
L’aspettativa retribuita prevista per i dipendenti pubblici in caso di ammissione a dottorati di ricerca è fruibile esclusivamente dai lavoratori a tempo indeterminato, in quanto il diritto si fonda sulla stabilità del rapporto di lavoro e sull’interesse della Pubblica amministrazione a sfruttare le conoscenze acquisite dal proprio dipendente dopo il conseguimento del titolo accademico. L’esclusione del diritto per i lavoratori a termine, inoltre, non contrasta con il principio di non discriminazione di matrice europea. È quanto affermato dalla Sezione lavoro della Cassazione con la sentenza n. 3096, che ha escluso la fruizione del beneficio per un docente con incarico annuale. Per la Corte la norma non garantisce la conservazione del trattamento economico, previdenziale e di quiescenza anche agli assunti a tempo determinato e ciò non contrasta con il principio di non discriminazione in materia di pubblico impiego, sancito dalla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 190/70/Ce e affermato a più riprese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Tale principio, infatti, vieta trattamenti discriminatori nelle condizioni di impiego tra le due categorie di lavoratori, sempre che il diritto in questione «non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine», come affermato dall’articolo 6 del d.lgs. 368/2001 attuativo della direttiva.

Cassazione Civile – Sezione VI – ordinanza n. 7044 del 21 marzo 2018  
La Suprema Corte torna ad occuparsi del corretto riparto dell'onere della prova in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, confermando il principio per cui il paziente, che agisce in giudizio per il risarcimento del danno da colpa medica, ha l'onere di provare il nesso di causalità tra la malattia, il suo aggravamento ovvero la nuova patologia e la condotta commissiva o omissiva dei medici.
Una volta provato l'anzidetto nesso di causalità, spetta alla struttura sanitaria provare che la prestazione medica dovuta risultava impossibile per causa alla stessa non imputabile ovvero che l'inadempimento è stato causato da una evenienza imprevedibile, oltre che inevitabile, con la comune diligenza.

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