Rassegna di giurisprudenza
02/03/2018

Sentenze: le novità 26 febbraio al 2 marzo 2018

Questa settimana: - Responsabilità: risarcimento danno da nascita indesiderata - Responsabilità: IVG e corretta informazione - Responsabilità e medicina ayurvedica - Certificato medico Inps: atto pubblico - Accreditamento strutture private - Medico competente e divieto di consulenza - CGUE: lecito licenziare lavoratrici in gravidanza

Cassazione Civile – II Sezione - Ordinanza n. 2070/2018: Secondo la cassazione va risarcita la lesione dell’autodeterminazione dei genitori in caso di nascita indesiderata. Per la Cassazione il risarcimento del danno non è strettamente connesso con la salute della madre, ma riguarda le negativa ricadute esistenziali che si verificano nella vita dei genitori. Pertanto il risarcimento del danno da nascita indesiderata non è subordinato all'accertamento di determinate condizioni di salute del neonato ma, come si legge nella sentenza numero 2070/2018, deve essere riconosciuto "rispetto alle negative ricadute esistenziali che si verificano nella vita dei genitori in conseguenza della violazione del diritto a non dar seguito alla gestazione" legittimamente esercitato. Per i giudici, infatti, una lettura costituzionalmente orientata della legge n. 194/1978 impone di interpretare il bene salute come benessere psicofisico della persona, con la conseguenza che se dall'erroneo intervento di interruzione di una gravidanza derivi una nascita indesiderata, il risarcimento non può limitarsi al danno alla salute della madre, ma deve estendersi sino a ricomprendere anche il danno patito da entrambi i genitori per la lesione della loro libertà di autodeterminazione.

Cassazione Civile – III Sezione - Ordinanza n. 1252/2018: L'interruzione della gravidanza in conseguenza di una corretta e tempestiva informazione da parte del ginecologo circa le patologie gravi del feto non risponde a regolarità causale. Se il proprio bambino nasce con delle gravi malformazioni, è la madre che deve dimostrare che, se fosse stata correttamente e tempestivamente informata della gravità delle patologie cui il nascituro andava in contro, avrebbe di certo interrotto la gravidanza.In altre parole, non è più possibile ritenere che l'interruzione della gravidanza in conseguenza di una corretta e tempestiva informazione da parte del ginecologo circa le patologie gravi del feto risponda a regolarità causale.L'onere della prova, oggi, grava totalmente sulla gestante e, nel caso come quello di specie in cui si sarebbe trattato di aborto ultratrimestrale, lo stesso risulta ancora più pregnante.Concretamente, tale principio si riflette sulla responsabilità del ginecologo per nascita indesiderata, che non può essere dedotta esclusivamente dalla circostanza che il sanitario non abbia reso noto alla gestante che il feto è affetto da una certa condizione patologica se manca la prova che la patologia fosse di una gravità tale da consentire alla donna di esercitare il diritto all'interruzione della gravidanza oltre i termini fissati dalla legge e che la donna si sarebbe determinata in tal senso.

Cassazione Penale – IV Sezione - Sentenza 7659/2018. La Corte di Cassazione ha rinviatoalla Corte d’Appello per un “vizio di mancanza di motivazione” la condanna di un medico che aveva convinto un paziente malato di cancro poi deceduto a curarsi secondo la medicina ayurvedica perché non era stato valutato se il paziente, praticando le terapie tradizionali, sarebbe guarito, sarebbe sopravvissuto più a lungo o avrebbe sofferto di meno (giudizio controfattuale).

Tribunale di Roma – II Sezione lavoro - Sentenza n. 10450/2017: Il certificato redatto da un medico convenzionato con l'INPS per il controllo della malattia del lavoratore è atto pubblico che fa fede fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato, nonché dei fatti che il pubblico ufficiale medesimo attesta aver compiuto o esser avvenuti in sua presenz

Tar Molise – I Sezione - Sentenza n. 65/2018: L’accreditamento istituzionale consente alle strutture che ne beneficiano di erogare prestazioni sanitarie alla stregua di quelle pubbliche e di ricevere quindi i relativi rimborsi dall’Amministrazione. In tale contesto includere esponenti di due specifiche strutture private accreditate nell’ambito di quelli a cui è rimessa la valutazione sulla sussistenza e persistenza dei requisiti di accreditamento, introduce nel sistema un duplice profilo di distorsione, in quanto, per un verso, finisce per incidere sulla necessaria imparzialità dell’OTA (Organismo Tecnicamente Accreditante) al momento in cui è chiamato a verificare la permanenza dei requisiti in capo proprio a quelle strutture i cui esponenti sono presenti nell’organigramma (o comunque investiti di specifiche funzioni istruttorie), per altro verso, introduce un elemento di opacità nelle valutazioni delle altre strutture, dovendosi comunque ravvisare un potenziale controinteresse ad allargare la platea delle strutture sanitarie operanti sul mercato.

TAR Sicilia - Sezione I - sentenza n. 224 del 26 gennaio 2018. Il medico competente “istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria”, tuttavia dall’ampio catalogo dei sopraindicati compiti appare evidente come lo svolgimento di visite specialistiche ai lavoratori, e la eventuale richiesta di esami strumentali, si risolve in prestazioni mediche e diagnostiche che rivestono chiaramente carattere general-preventivo essendo funzionali alla più generale “sorveglianza sanitaria” delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Si tratta quindi di una vera e propria collaborazione con il datore di lavoro consistente in un’attività di consulenza sussumibile sotto il paradigma del contratto d’opera intellettuale ai sensi dell’art. 2229 e ss. cod. civ..L’incarico di “medico competente”  appare corrispondere alla previsione normativa di incarico di studio e consulenza per il quale deve ritenersi applicabile il divieto di conferimento ai soggetti collocati in quiescenza.

Corte di Giustizia Europea - Sezione III - causa C-103-16 del 22 febbraio 2018 .Una legge nazionale che consente di licenziare la lavoratrice in stato di gravidanza nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo non è contraria al diritto comunitario; ciascuno Stato membro resta, tuttavia, libero di prevedere forme di tutele più forti per le dipendenti madri e gestanti. Con queste motivazioni la sentenza della Corte di giustizia ha rimosso ogni dubbio sulla legittimità della normativa vigente in Spagna. La Corte di giustizia rileva che il divieto di licenziamento posto dalla direttiva 92/85 mira a prevenire gli effetti dannosi sullo stato fisico e psichico delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, che può generare un rischio di licenziamento per motivi connessi al loro stato. Per prevenire questo rischio, sono previste pesanti sanzioni per tutti i provvedimenti che abbiano come presupposto lo stato personale della lavoratrice. Al contrario, osserva la Corte, la direttiva non vieta il licenziamento durante il periodo dall’inizio della gravidanza fino al termine del congedo di maternità, qualora l’atto sia fondato su motivi non connessi allo stato di gravidanza della lavoratrice. La sentenza – nella parte relativa alla possibilità di licenziare le lavoratrici madri nell’ambito di una procedura di riduzione del personale – potrebbe legittimare un ripensamento sulla materia, ma non avrà alcun impatto immediato sulle norme vigenti in Italia, che impediscono, anche in caso di procedura collettiva, il licenziamento della lavoratrice madre, a meno che non ci sia una chiusura dell’intera azienda

 

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