In tema di danno da morte, la S.C. si pronuncia sulla quantificazione dell'apprezzabile lasso di tempo che deve intercorrere tra l'evento dannoso e il decesso per il risarcimento dei danni ccdd. terminali.
Nella fattispecie, i giudici ritengono che la sopravvivenza per ventiquattro ore sia sufficiente a configurare, anche nella vittima in stato di incoscienza, la menomazione dell'integrità psicofisica e il perturbamento dello stato d'animo della stessa, entrambi risarcibili iure successionis. Inoltre, la S.C., riscontrando l'impraticabilità del riconoscimento del danno tanatologico, lo considera, insieme alla gravità del fatto e all'irreparabilità della perdita del congiunto, un elemento di cui il giudice deve tener conto nella liquidazione dei danni non patrimoniali iure proprio.